FairyPieceForum

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  1. Toast - OS
    .

    TOAST




    "I feel like I'm a lone survivor...
    and on my own I walk alone
    to see the sun again...
    "*




    La locanda era immersa in una luce soffusa che nascondeva parzialmente i muri anneriti dal fumo e dagli anni, le sedie spaiate, le scale pericolanti che portavano al piano superiore dove si trovavano gli alloggi per i forestieri.
    A Law non importava.
    Aveva visto taverne più belle ma anche decisamente più brutte, ricordava odori peggiori e, nel complesso, quel locale era silenzioso. Difficile dire se fosse perché gli avventori erano già tutti ubriachi e nella fase silenziosa dell'ubriachezza. Ma se anche così fosse stato, a lui interessava il risultato non la motivazione.
    Si guardò intorno distrattamente, senza realmente vedere la fauna che occupava la taverna in quel momento.
    Voleva soltanto starsene da solo, tranquillo e in pace a scolarsi una bottiglia di rhum.
    Ovvio che gli mancasse la sua ciurma. Gli mancava dormire su Bepo, ascoltare le idiozie di Pen, mangiare le prelibatezze di Shachi e discutere con JeanBart della rotta migliore da seguire. Gli mancavano, certo, ma non era tipo da annegare quel genere di pensieri nell'alcool. Quindi no, il rhum non era un modo per sentirsi meno solo e no, non era interessato alla compagnia di nessuno. Ergo, meglio evitare i tavolini.
    Era già accaduto fin troppe volte che qualcuno nel vederlo per gli affari propri pensasse bene di aggregarsi a lui senza nemmeno chiedere. Quella sera di fare a botte non ne aveva voglia e così si diresse a passo lento e sicuro verso il bancone, a cui erano seduti solo un vecchio con una fisarmonica, all'estremità destra, e una ragazza, al centro.
    Law non aveva voglia di aspettare troppo, voleva il suo rhum e lo voleva subito, così optò per la zona centrale del bancone, attento a lasciare due sgabelli di distanza tra lui e la ragazza. Non la degnò nemmeno di uno sguardo, mentre si accomodava, appoggiando la nodachi e lo zaino al pavimento e al lato del bancone.
    Intrecciò le dita e posò gli avambracci sul legno. Il barista gli passò davanti e si fermò di fronte alla ragazza, per servirle un bicchiere di liquido dorato e luccicante. Idromele, lo riconobbe subito Law e trattenne uno sbuffo.
    La ragazza non doveva essere una gran bevitrice ma smise subito di interessarsene quando il barista, ancora fermo davanti a lei, gli lanciò un'occhiata di striscio.
    «Una bottiglia di rhum.» ordinò, asciutto e discreto il pirata, senza aggiungere inutili e poco sinceri convenevoli.
    Il barista si limitò a grugnire appena prima di chinarsi e recuperare quanto richiesto da uno dei vani sotto il bancone. Law continuò a fissare il vuoto finché il tonfo della bottiglia di alcool che veniva posata di fronte a lui non lo riscosse.
    «E un bicchiere di idromele anche per lui.» aggiunse una voce femminile squillante ma lievemente roca.
    Perplesso, una mano tatuata già intorno al collo della bottiglia di vetro ambrato, Law si girò verso la ragazza che lo osservava con un grande ed incomprensibile sorriso sul volto. Si degnò di osservarla giusto un attimo. Occhi blu, capelli castani tagliati alle spalle, camicia e pantaloni all'apparenza indossati per comodità ma in realtà scelto con cura, un paio di occhiali da aviazione gialli intorno al collo.
    «Offro io.» ci tenne a precisare la ragazza quando vide che Law si attardava nello studiarla con sguardo glaciale. Ma la puntualizzazione non fece che peggiorare le cose.
    Law la trucidò quasi con un'occhiata prima di rispondere: «Non sono interessato.» e tornare a dedicarsi al proprio rhum. Se ne versò una generosa dose e stava già per portare il bicchiere alle labbra quando venne interrotto di nuovo.
    «Non voleva essere una proposta indecente.» puntualizzò la voce femminile e fu più forte di lui lanciare uno sguardo istintivo nella direzione da cui proveniva il rumore. Law aveva tutte le intenzioni di ignorarla e non degnarla nemmeno di una risposta se solo la ragazza non lo avesse osservato con il viso posato sulla mano e il gomito posato sul bancone, con estremo interessa ed evidente insistenza.
    Law provò a ignorare il suo sguardo curioso e acceso da quel sorriso senza una ragion d'essere ma si rese subito conto che sarebbe stata una battaglia persa. Per la seconda volta in meno di un minuto, si bloccò con il bicchiere a metà strada verso le labbra e sospirò sonoramente, mandando gli occhi al cielo. «Non pensavo fosse una proposta indecente ma non sono comunque interessato.» tagliò corto con tono duro, girandosi a guardarla apertamente.
    La ragazza corrugò le sopracciglia senza smettere di sorridere. «Perché no?»
    Law sbatté le palpebre un paio di volte. Alla faccia dello starsene da solo ed evitare la compagnia. Si guardò rapidamente intorno ma non c'era un solo tavolo senza almeno un avventore già seduto. Rassegnato, riportò l'attenzione sulla ragazza.
    «Se bevo un bicchiere di idromele mi lasci in pace?» chiese, atono e faticò a credere ai propri occhi quando lei scosse il capo.
    «No, ora sono comunque curiosa di sapere perché non lo volevi.»
    «E io sarei curioso di sapere perché vuoi che io lo beva a tutti i costi.» ribatté Law, cominciando a perdere la pazienza.
    «Io non voglio che lo bevi a tutti i costi. Io voglio sapere perché non lo vuoi bere.»
    «Troppo leggero per i miei gusti.» rispose Law asciutto, sperando di accontentarla.
    «E allora che problema c'è a berne un bicchiere?»
    Law si chiese se qualcuno non gli avesse dato una botta in testa e stesse per caso sognando. Non poteva stare succedendo veramente. Ma poi non sapeva con chi stava parlando? Non aveva visto la sua taglia, sentito le storie sul suo conto? Era così sprovveduta da girare da sola in una taverna pirata senza sapere nemmeno che aveva di fronte il Chirurgo della Morte?
    «Allora vedi che vuoi che lo beva a tutti i costi?»
    Una voce nella sua testa gli chiese perché non l'avesse ancora fatta a pezzi e basta ma Law la mise prepotentemente a tacere.
    «Io non voglio che lo bevi a tutti i costi.» ripeté più decisa la ragazza.
    «E allora perché me lo hai offerto? E perché insisti?»
    «Brindare in due è sempre meglio che brindare da soli.» rispose con semplicità e una stretta di spalle.
    Law la squadrò rapidamente una seconda volta, sopracciglio alzato. «Non hai l'aria di una che ha qualcosa da festeggiare.»
    «Brindare e festeggiare non sono sempre sinonimi.» ribatté prontamente, lasciandolo senza parole.
    Perché lui si sentiva precisamente così in quel momento. Aveva un ottimo motivo per brindare, quasi un obbligo che avrebbe assolto molto volentieri, ma nessun motivo per festeggiare. E non avrebbe saputo spiegarlo meglio di come aveva appena fatto lei.
    E così rimase zitto. Rimase zitto perché se avesse aperto bocca avrebbe ceduto all'impulso di chiederle personali informazioni di cui non gli sarebbe dovuto importare nulla. Che differenza faceva conoscere il suo nome e sapere da dove veniva o dove fosse diretta? Una volta fuori da quella locanda sarebbero tornati a essere due estranei. Forse lei lo avrebbe riconosciuto in un avviso di taglia e avrebbe detto che una volta ci aveva parlato in una locanda. Ma sempre due estranei sarebbero rimasti e Law non chiese.
    Non poteva certo immaginare che se avesse chiesto lei avrebbe risposto, non a tutto ma avrebbe risposto. Gli avrebbe detto che si chiamava Koala, che aveva ventidue anni e che non era sola sull'isola anche se era sola in quella locanda, che pure non aveva scelto a caso.
    E non poteva immaginare che, volente o nolente, pur non chiedendo, un paio di quelle informazioni sarebbero arrivate lo stesso.
    «Ehi Koala! Ti sta importunando?»
    Law sgranò gli occhi incredulo e lanciò un'indignata occhiata al barista. Lui stava importando lei?! Ma che scherzava?!
    «Mi sa che è più il contrario.» rispose Koala, divertita.
    «Beh allora cerca di non trattenerlo troppo che prima se ne va dalla taverna meglio è.» proseguì burbero il barista.
    «Piantala di fare il polpo retrogrado, Roy. Tanto non attacca.»
    Law si raddrizzò di scatto e corrugò le sopracciglia. Aveva sentito bene?
    «Che vorresti insinuare, ragazzina?»
    «Che preferisci le sirene con le gambe quando non hanno ancora l'età per avere le gambe. E io non insinuo.» ribatté Koala con un sorriso, prendendo un sorso di idromele e provocando uno scroscio di risa da parte del resto degli avventori.
    Ormai certo di non avere perso l'udito, Law si guardò intorno per confermare il proprio sospetto e rimase per un attimo basito. Ebbene sì, era entrato in una taverna di uomini-pesce, gestita da un uomo-pesce di tipo polpo con i tentacoli al posto della barba, ora che lo osservava con più attenzione e che gli occhi si erano abituati alla penombra.
    Non che per lui fosse un problema, una locanda valeva l'altra, non aveva pregiudizi e se anche loro avessero provato a linciarlo, lui avrebbe saputo difendersi senza fatica. Lui.
    Ma lei? Che ci faceva una ragazza così giovane in una taverna di uomini-pesce? Se era una sirena, non aveva ancora l'età per avere le gambe. No, era un'umana e sì, conosceva quegli uomini-pesce chiaramente molto bene.
    Per un secondo soltanto, un momento di distrazione, Law ebbe l'impressione di provare ammirazione per quella ragazza. Ma era chiaramente solo un'impressione e si girò a guardarla per mettere in chiaro che lui non si sentiva affatto importunato, che nessuno lo importunava e che se si fosse sentito importunato se ne sarebbe andato ma Koala stava fissando il vuoto con un sorriso e uno sguardo così malinconici e dolci che le parole gli morirono in gola.
    Le labbra carnose appena stirate in un sorriso lieve, le iridi accese dai ricordi e, in qualche assurdo modo, da una velata tristezza, la frangetta che le copriva la fronte e le faceva gli occhi ancora più grandi. Era bellissima, abbastanza da fargli passare la voglia di fare il pignolo e l'orgoglioso per una volta.
    «Voglio brindare...» Law sobbalzò quando la voce di Koala risuonò nel locale improvvisamente silenzioso. Si rese conto che si era incantato a fissarla e non sapeva esattamente per quanto ma rimase impassibile come sempre ad ascoltare le sue parole, mormorate a tutti e a nessuno in particolare. «... a un uomo nobile e coraggioso. Con un cuore enorme e il più forte senso di giustizia che abbia mai incontrato in vita mia. Voglio brindare all'uomo che mi ha salvato la vita, non una ma ben tre volte.»
    Law trattenne il fiato incredulo. Non era possibile eppure quella descrizione si sarebbe potuta applicare perfettamente a...
    Strinse il pugno e il bicchiere in uno scatto d'ira. Chi diavolo era quella tizia? Se era uno scherzo, non era affatto divertente!
    «...al più grande pirata che abbia mai conosciuto. A zio Tiger!» alzò appena la voce insieme al bicchiere.
    «A Tiger!» risposero all'unisono gli altri uomini-pesce mentre Koala buttava giù mezzo bicchiere di idromele in un sorso.
    Un cozzare di vetro contro vetro seguì il brindisi della ragazza, che si girò verso Law, sempre sorridente e affettuosa. Law si rilassò, insultandosi mentalmente per tanto egocentrismo dimostrato almeno a se stesso e a nulla valse la voce nella sua testa che gli fece notare che quel giorno la sua arguzia aveva tutto il diritto di essere meno attiva del solito. In fondo anche se il ricordo di Cora gli strappava sempre un sorriso, l'anniversario della sua morte non era mai un giorno facile da affrontare, soprattutto da solo.
    «E tu a cosa vuoi brindare?» gli chiese.
    Law la fissò con attenzione, guardando oltre i superficiali dettagli, che aveva già memorizzato, del suo aspetto. La guardò con attenzione e si riconobbe nei suoi occhi, vide una vita e un'esperienza così simili alle sue da non riuscire a capacitarsi come avessero potuto produrre due caratteri tanto differenti. Vide la speranza, la stessa che lo aiutava ad andare avanti ogni giorno, di poter fare qualcosa di buono e giusto per il mondo.
    Vide con chiarezza che lei aveva molti motivi per brindare quella sera ma pochi per festeggiare.
    Senza staccare lo sguardo da lei, tolse il tappo e si versò ancora un po' di rhum, prima di sollevare il bicchiere a mezz'aria. Koala fece altrettanto con il proprio, ancora pieno di idromele per metà, fermandosi a pochi centimetri da quello del pirata.
    Law sollevò un angolo della bocca. «Alla libertà.»
    Koala sorrise. «Alla libertà.»


    §




    Law aveva visto locande più belle ma doveva ammettere che Roy sapeva come mantenere puliti e accoglienti gli alloggi per i forestieri. Non ricordava l'ultima volta che aveva dormito in un letto tanto comodo.
    Certo la qualità della dormita da cui si stava risvegliando piano, dipendeva solo in minima parte dal materasso morbido e dalle coperte calde e fragranti. Ancora in dormiveglia Law sorrise.
    Avevano brindato quella notte, alla vita e alla libertà e ben più di una volta.
    Allungò un braccio verso destra è quello che tastò lo obbligò a svegliarsi molto più in fretta di quel che avrebbe voluto.
    Vuoto.
    Non assoluto, certo. C'era il materasso, le lenzuola arruffate. Ma metà del letto era vuoto nella misura in cui mancava il corpo morbido e caldo di Koala. Law aprì gli occhi, sollevando appena il viso dal cuscino.
    Che diavolo...
    Fece vagare gli occhi sulla testata di legno, il muro riverniciato di recente, con qualche bolla qua e là provocata dall'aria umida dei giorni di pioggia, il comodino su cui era posata una bottiglia d'acqua accanto a una vuota di idromele.
    Aveva rivalutato il liquore in questione dopo quella notte. Era certo che da quel giorno in poi non avrebbe più trovato l'idromele insignificante. Si leccò le labbra in un gesto automatico. Sapevano ancora di miele e sapevano ancora di lei.
    Lei che, lo sguardo perso fuori dalla finestra, si stava silenziosamente rivestendo, assorta in chissà quali pensieri mentre riabbottonava la camicia, gli slip già addosso.
    Law si tirò su un po' di più e si girò sul fianco, usando l'avambraccio per sostenersi. «Di solito sono io quello che se ne va di nascosto e senza una parola.»
    Koala sbatté le palpebre per tornare alla realtà ma non diede segni di sorpresa, non sobbalzò, non ebbe nessuna reazione tipica di chi era stato appena colto in flagrante. Si voltò verso di lui e sorrise, immancabilmente «C'è sempre una prima volta. Nessuna intenzione di ferire il tuo ego comunque.» mise in chiaro chinandosi a raccogliere i pantaloni.
    Law la osservò, il fiato appena sospeso. Da un lato, quello più megalomane, non riusciva a credere che se ne stesse davvero andando, dall'altro, che non avrebbe ascoltato nemmeno sotto tortura, non voleva che se ne andasse.
    Non ancora almeno.
    «Il mio ego sta benissimo. Non devi farti tutti questi problemi. Non lo stai disturbando con la tua presenza, puoi anche restare.»
    Koala si immobilizzò con i pantaloni a mezz'aria e lo sguardo vitreo. Per un attimo dubitò di aver sentito bene, poi aggrottò le sopracciglia e, mano sui fianchi, tornò a fronteggiarlo. «E chi ti dice che me ne sto andando per farti un favore?»
    «Di sicuro non te ne stai andando perché sei di fretta.»
    «Che ne sai?»
    «Non viaggi sola.» sentenziò Law mettendosi a pancia in su, le dita intrecciate dietro la nuca. «Se viaggiassi sola dovresti avere con te qualcosa, un'arma, un cambio abiti, dei soldi. È vero, qui non ti saranno serviti, scommetto che Roy ti ha offerto tutto anche se non mi è ancora chiaro il tuo legame con gli uomini-pesce ma...« Law voltò il viso verso di lei. «... il punto è che se giri senza soldi, abiti o armi nel Nuovo Mondo o sei pazza o hai lasciato tutto su una nave o in custodia a qualcuno. Ergo, non viaggi da sola.» concluse Law stringendosi nelle spalle.
    Koala rimase interdetta qualche secondo, cercando di non darlo a vedere, prima di rispondere: «Okay detective. E se anche fosse chi ti dice che non devo andare ora?»
    «Se dovevate ripartire oggi sarebbero venuti a cercarti ieri sera. È la regola più importante. La notte prima della partenza si dorme sulla nave.»
    Koala non riuscì a trattenere un sorriso, ammirato e divertito ma, per il disappunto di Law, continuò comunque a rivestirsi.
    «Non sei un pirata.» sentenziò il chirurgo dopo pochi istanti.
    «Come?»
    «Non sei un pirata. All'inizio lo pensavo ma non sei un pirata. Però fai parte di un gruppo organizzato, con una gerarchia ma non così rigido da impedirti di andartene la sera per gli affari tuoi e passare la notte dove più ti aggrada.» Law sollevò la schiena dal materasso. «Sei nel G5?» chiese e Koala, già alla porta, si immobilizzò con la mano sulla maniglia.
    «Che cosa?!» chiese, incredula, voltandosi verso di lui. «Ma stai scherzando vero?»
    Law si fece violenza per trattenere un ghigno quando Koala prese ad avanzare verso di lui, tornando finalmente indietro.
    «Una marine?! Quale marine pensi che andrebbe a letto con uno dei pirati più ricercati del momento senza neppure provare a catturarlo?!»
    Con tutta la calma, Law scostò le coperte e si portò fino al bordo del letto. Suo malgrado Koala fece scorrere gli occhi su di lui, il petto scolpito e tatuato, le braccia e le gambe toniche, le dita lunghe ed esperte, i capelli spettinati, gli occhi grigi e penetranti, i boxer tesi perché era pur sempre mattina. Deglutì, la gola improvvisamente secca.
    Stava cercando di sedurla per caso?
    «Non saresti la prima che si innamora di me dopo solo una notte.» rispose il pirata con un ghigno.
    Koala rimase interdetta per la seconda volta e poi scoppiò in una cristallina risata. Sì girò verso la porta, ne aprì uno spiraglio e si sporse all'esterno con il busto. «Roy! Porta due colazioni alla camera 109!» urlò e fece per richiudere prima di avere un ripensamento. «Senza entrare!» aggiunse, sporgendosi ancora un attimo all'esterno.
    Richiuse e, senza staccare gli occhi da Law, si sfilò i pantaloni. Fu solo in quel momento che il chirurgo si accorse che non indossava le scarpe e, a giudicare dalla curva che si poteva intravedere dallo scollo morbido e impalpabile della camicia, nemmeno il reggiseno.
    «Mi stavo rivestendo solo per andare a prendere la colazione.» spiegò Koala, camminando lentamente verso il letto, vestita solo di camicia e slip. Law la accolse con molto piacere quando Koala si sedette a cavalcioni del suo bacino, la braccia a circondargli le spalle. «E credevo di conoscere già da anni la persona più arrogante di questo mondo ma evidentemente mi sbagliavo.»
    «E non l'hai ancora nemmeno conosciuta.» precisò Law, accarezzandole il costato a palmi pieni, attraverso la camicia.
    «Conosci qualcuno più arrogante di te?» Koala sgranò gli occhi, fingendo sorpresa.
    «Un soggetto o due mi vengono in mente.» rispose Law prima di sporgersi a baciarle il collo.
    Koala immerse le dita tra i suoi capelli corvini e chinò il capo all'indietro per dargli più accesso, parlando tra gli ansiti «Tu... Tu quando r-riparti?»
    Law smise di torturarla a fior di labbra solo per guardarla intensamente negli occhi «Quando riparti tu.»
    Per un attimo il tempo sembrò fermarsi nella piccola stanza di quella non lussuosissima ma ben tenuta locanda e una domanda rimase sospesa nell'aria. Che cosa stava succedendo?
    Perché era ovvio che quella tanto arrogante affermazione di Law fosse solo una battuta. Ma loro viaggiavano per mare e avevano imparato a vivere intensamente, bruciando il tempo e le tappe. Ma i coinvolgimenti, quelli erano proibiti. Quelli erano follia. Per questo era più che legittimo chiedersi cosa stesse succedendo.
    Ma l'attimo passò e Koala posò le mani sui pettorali di Law e spinse, obbligandolo a sdraiarsi sul letto. Lo sovrastò, puntellandosi ai lati dal suo volto. «Bisognerà ordinare a Roy tre pranzi, tre cene e quattro colazioni con quella di stamattina.» sentenziò la ragazza.
    «Ti sei dimenticata la regola più importante del giorno prima della partenza?»
    «No.» mormorò Koala, abbassandosi sul suo torace. «Ma sono un po' rivoluzionaria io.»
    E Law chiuse gli occhi e smise di pensare quando Koala cominciò a ridisegnare il suo tatuaggio con le labbra, strinse il lenzuolo tra le dita quando gli sfilò i boxer e non si preoccupò di trattenere i gemiti mentre Koala si prendeva cura di lui e dei suoi bisogni mattutini, muovendosi ritmicamente, le labbra appena schiuse, umide il giusto, calde alla perfezione.
    Non si preoccupò di molte cose Law, durante quei tre giorni. Della sua missione, del tempo che scorreva. Di chiedere a Koala se Roy fosse abituato a lasciare pasti e colazioni fuori dalla porta della camera che affittava o se era la prima volta che faceva una cosa del genere. Le aveva già letto la risposta negli occhi.
    Non era inesperta, non del tutto. Se Law avesse chiesto, avrebbe saputo. Un ex compagno dell'Armata che poi se n'era andato senza nemmeno dirle addio. Una ferita vecchia e già perfettamente rimarginata. Una spalla amica su cui piangere che non le era mai mancata sin da bambina.
    Non era inesperta ma una cosa così incosciente e folle non l'aveva mai fatta per nessun altro. E non importava se invece lui era abituato a noleggiare alloggi nelle locande all'ultimo minuto perché questa volta, per la prima volta, non aveva alcun desiderio di vestirsi e silenziosamente scappare quando al mattino apriva gli occhi e la vedeva dormire accanto a sé.
    Era diverso, questa volta, e a Law non importava sapere. Perché tutto ciò di cui aveva bisogno era la certezza, di cui non avrebbe mai dubitato, che con nessun altro sarebbe mai stato così. Erano la stessa anima in due cuori diversi e complementari.
    Insieme in quel letto di quella piccola stanza di quella non lussuosissima ma ben tenuta locanda erano tutto ciò che Cora e Tiger avevano sperato per loro.
    Erano vivi. Erano liberi.
    E Law sapeva che se mai i loro cammini si fossero nuovamente incrociati, ogni volta che i loro cammini si fossero incrociati, solo con lei, solo con lui, non avrebbero perso mai l'occasione di brindare, ancora una volta, alla libertà e alla vita.


    §




    «Capitano!»
    «Capitano!»
    Law continuò a camminare deciso per i corridoi del sottomarino, ignorando i richiami dei propri nakama, l’espressione dura e arrabbiata.
    Non ce l’aveva con loro. Per niente.
    Anzi, era felice più di quanto avrebbe mai osato ammettere, esprimere o anche solo lasciar trasparire di essere di nuovo con loro, di essere di nuovo sul sottomarino, a casa.
    Se con qualcuno Law ce l’aveva, era con se stesso. Sì, aveva liberato Dressrosa e sì, aveva portato a termine la missione di Cora ma non era finita come doveva.
    Lui non sarebbe dovuto sopravvivere. Non che avesse desiderato morire ma non era come se avesse programmato di uscirne vivo e tornare dai suoi. Mugiwara-ya sarebbe stato capace di difendere i suoi nakama dalla furia di Kaido ma lui? Lui che senza Rufy non sarebbe riuscito nemmeno a sconfiggere Doflamingo, dopo tutti quegli anni passati a pianificare, pur conoscendo alla perfezione il suo modo di agire, ragionare e combattere.
    Cosa mai sperava di poter fare contro il più temibile tra gli Yonkou?
    E morire per morire, sarebbe stato meglio a Dressrosa, da solo, in qualità di shichibukai rinnegato e non come capitano di una ciurma che avrebbe subito il suo stesso destino con la sola colpa di essere, appunto, la sua ciurma.
    C’era un motivo se li aveva lasciati e aveva vagato solo per un anno e mezzo, dannazione!
    «Law, ti vuoi fermare un momento?»
    La domanda risuonò come uno sparo e sortì l’effetto desiderato. Law si fermò ma non perché gli fosse stato chiesto in modo esplicito e nemmeno perché a chiederlo era stato Pen. Pen era il solo che avesse il permesso di rivolgersi a lui così ma non davanti al resto della ciurma, come aveva appena fatto.
    Law si fermò e si girò omicida, le iridi quasi bianche per la rabbia, pronto a rimetterlo al proprio posto anche se sapeva che a posteriori si sarebbe dispiaciuto.
    Ma non riuscì nemmeno ad aprire bocca quando vide cosa Pen teneva in mano.
    Una bottiglia, senza etichette e piena di un liquido semitrasparente e dorato. Una stupida, anonima bottiglia di idromele, con un biglietto legato intorno al collo.
    Lo stomaco di Law fece una capriola e la sua espressione virò dal furente all’interrogativo mentre sollevava gli occhi sul volto del suo migliore amico e braccio destro.
    «Ieri notte, l’ultima prima del tuo ritorno.» si strinse nelle spalle Pen. «Qualcuno è salito sulla nave di soppiatto, lo abbiamo sentito mentre scappava e non siamo riusciti a vedere chi fosse ma poi abbiamo trovato questa in cucina. Sul biglietto c’è scritto che è per te.»
    Law si avvicinò e prese la bottiglia dalle mani di Pen, con gentilezza quasi.
    «Non sapevamo cosa fare ma non siamo nemmeno sicuri che sia saggio che tu lo beva…»
    «Tranquilli.» lo fermò Law, osservando il liquido color miele tremare appena contro il vetro, uno strano sorriso sulle labbra. «Non è avvelenata.»
    Gli veniva quasi da ridere. Quanto poteva essere imprudente e… assurdamente unica? Ci avrebbe scommesso il braccio che il nanetto gli aveva riattaccato che aveva fatto rumore apposta mentre lasciava il sottomarino, per assicurarsi che trovassero la bottiglia.
    Incurante degli sguardi perplessi dei suoi compagni, Law aprì il biglietto piegato a metà. Poche righe erano state scritte con grafia precisa e tondeggiante e nel leggerle Law si sentì improvvisamente più sereno e meno spaventato.
    In fondo anche lui aveva liberato Dressrosa. Come Mugiwara-ya, aveva messo la propria vita in prima linea e lo avrebbe fatto ancora, per difendere i propri compagni. E sarebbe sopravvissuto.
    Sì, sarebbe sopravvissuto a Kaido e a tutta l’altra merda che il Nuovo Mondo gli avrebbe tirato addosso fino alla fine, fino a Raftel, dove avrebbe celebrato il nuovo re dei pirati di cui era già stupidamente orgoglioso di essere alleato.
    Non poteva fare altrimenti, comunque. Non poteva morire o tutto quell’idromele sarebbe andato sprecato. E Law questo non era disposto ad accettarlo.


    Al secondo più grande pirata che abbia mai conosciuto.
    Conservalo per brindare ancora insieme.
    Ti aspetto alla fine del viaggio.
    K.










    * Bird with a broken wing - Owl City
  2. .

    BRAVE WARRIORS OF THE SEA




    -Grazie-
    Senza nemmeno voltarsi, Zoro rimase immobile a fissare l'orizzonte, sul ponte della Sunny che viaggiava immersa nella notte, alla volta di Sabaody.
    In mano una bottiglia di rhum, intorno al corpo ancora quelle bende a testimonianza del suo sacrificio. Una scelta per cui non voleva ringraziamenti ma non per questo se la sarebbe presa con il nakama. Sapeva chi glielo aveva detto e non si era aspettato niente di meno.
    -Per cosa?!-
    -Per avergli impedito di sacrificarsi... Per... Esserti sacrificato tu al posto suo...- continuò abbassando gli occhi a terra.
    Con un ghigno, Zoro voltò appena il viso, per poter guardare il cecchino.
    -Mi ero accorto che non eri del tutto privo di sensi. Se quell'idiota di un cuoco avesse insistito immagino avresti fatto qualche follia per salvarlo...-
    -Avrei voluto essere in grado di farlo per chiunque-
    -Ma sei svenuto subito dopo che io ho abbattuto Sanji- lo interruppe, prendendo poi una sorsata di saké -Non ti biasimo. Anche io sono crollato appena ho saputo che Nami stava bene. Non devi ringraziarmi-
    -Mi sembra il minimo..-
    -Tu hai fatto di tutto per difendere Nami. Siamo pari, no??- gli fece presente, ghignando di nuovo.
    Usopp sobbalzò colpito da quelle parole e rimase ancor più sorpreso quando Zoro sollevò la bottiglia di saké agitandola in aria.
    -Un goccio?!-
    Senza parole, Usopp sgranò gli occhi scuri. Quando mai Zoro condivideva il proprio saké?!
    Si girò verso la porta del sottocoperta, titubando un istante. Sanji si era addormentato già da un'ora, non avrebbe fatto caso alla sua assenza. E anche se non vedeva l'ora di tornate da lui, un bicchiere di liquore con un amico era cosa dovuta.
    Sorrise, tornando a guardare lo spadaccino.
    -Perché no?!- mormorò stringendosi nelle spalle e avviandosi verso di lui.
    Era giusto brindare a due coraggiosi guerrieri del mare.

    Edited by ___Page - 18/8/2017, 08:46
  3. Pupiz - OS
    .
    Oh Anna! Addirittura?😆😍
  4. .
    Ahahahahahahahahah!
    Quando ho letto "It's Franky birthday" per un attimo ho avuto paura!
    Spettacolo! 😂😂😂
  5. Pupiz - OS
    .

    PUPIZ




    La brezza soffiava tiepida nella bucolica piazza ciottolata. Di giorno Water Seven era un quartiere tranquillo, conosciuto per la particolarità di trovarsi al centro esatto dell’incrocio delle sette strade più importanti di Raftel. Ma non appena il sole calava dietro la linea dell’orizzonte e i lampioni cominciavano fiochi ad accendersi, facendo a gare con le stelle per illuminare la grande città, Water Seven si risvegliava lentamente, brulicante di vita e riecheggiante di risate.
    E musica.
    Musica punk.
    Musica punk, ad altissimo volume e anche di dubbio gusto a dirla tutta.
    Così alta che Law era piuttosto convinto che se fossero entrati avrebbero riportato danni permanenti all’apparato uditivo. E siccome tutti loro alle proprie orecchie ci tenevano, i sette ragazzi avevano optato per un tavolino all’aperto. Tutt’al più che per essere fine febbraio il clima era decisamente mite e con la giacca addosso si stava benissimo.
    «Ragazzi siete pronti per ordinare?» domandò una delle vivaci cameriere, sporgendosi solo con il busto fuori dalla porta del locale, facendo ondeggiare i ricci afro tagliati in una strana capigliatura squadrata, che sembrava più opera di un potatore che di un parrucchiere.
    «Ne manca ancora uno, Kiwi.» rispose Killer, senza esitazione. Come facesse a distinguerla da Mozu e non sbagliare mai era un mistero per tutti e, d'altra parte, nessuno credeva alla sua spiegazione che lui le donne le distingueva dal profumo che emanavano.
    «Sì ma penso che prenderà il solito, quindi potremmo ordinare che ne dite?» intervenne Sabo, ottenendo cenni d’assenso da tutti.
    Perfettamente sincronizzati, i sette amici sollevarono il listino prezzi, diedero una distratta occhiata ai drink, riabbassarono le liste e parlando all’unisono come un’unica voce, dichiararono: «Il solito per me.»
    «Grazie Kiwi.» aggiunse Ace con un sorriso.
    Kiwi annuì e prese rapidamente nota sul suo blocchetto. «Anche per Pen?» chiese conferma.
    «Sì, fai il solito anche per lui, che se ha da lamentarsi se la prende con me al massimo.» rispose Law, con tono piatto e monocorde. Che Pen se la prendesse con lui, d’altronde, era l’ultima delle sue preoccupazioni.
    «Okay! Quando vi porto i drink riprendo le liste!» cinguettò Kiwi, prima di risparire dentro il locale, lasciandosi inghiottire dalla musica.
    «Ci deve solo provare a lamentarsi, il cretino.» stava grugnendo intanto Kidd. «È in ritardo di mezz’ora, cazzo.»
    Ace si lasciò scivolare sulla sedia, allungò le gambe sotto il tavolo rotondo e reclinò il capo all’indietro, puntando lo sguardo sull’insegna a neon intermittente del “Franky House”. «Beh, speriamo non gli sia successo nulla.» commentò, il tono perennemente vivace indipendentemente da ciò che stava dicendo.
    «Perché dovrebbe essergli successo qualcosa?» domandò Sabo, separato da lui da Law.
    Ace raddrizzò il capo, guardando dritto verso suo fratello che lo fissava di rimando a sopracciglia aggrottate. «Non ho detto che gli è successo per forza qualcosa.» precisò. «Però nella vita non si sa mai.» aggiunse con un sorriso e un’alzata di spalle.
    «Ma perché gliela devi tirare?»
    «Io non gliela sto tirando!»
    «Sì che gliela stai tirando!»
    «Io ho solo detto…»
    «Sabo lascia perdere.» intervenne l’incarnazione della calma, altrimenti noto come Marco Newgate. «Fa sempre così anche al lavoro. È un menagramo che non ha coscienza di esserlo.»
    «Io non sono un menagramo!» protestò ancora Ace, girandosi stavolta verso il suo migliore amico e collega. «Io dico solo che se scoppia un incendio la giornata al lavoro è meno noiosa, tutto qui!»
    «E questo non è tirarla?»
    «Senza incendi non avrei un lavoro, Sabo!»
    «Okay è il momento di un bel gesto apotropaico! Al mio tre tutti insieme!» esclamò Izo, battendo le mani. «Uno, due… tre!» contò, allungando il collo per non perdersi lo spettacolo di un bel maschione come Kidd che si toccava il pacco, ma nessuno si mosse né accennò minimamente a farlo, strappandogli un sospiro deluso. «Sono in giro con un gruppo di verginelle.» si lamentò sconsolato.
    «Ohi! Verginella a chi?!» ringhiò Kidd, allungandosi oltre Killer per cercare di afferrare il colletto alla coreana della sua camicia.
    «Uuuuuh da questa reazione sembra proprio che io abbia toccato un tasto dolente!» si esaltò Izo, sorridendo cospiratore. «Se vuoi possiamo porre rimedio, Kiddo-kun.» propose e Marco si schiarì subito la gola.
    «Io sono qui.»
    «Oh Marco-chan.» Izo si girò di scatto verso il proprio fidanzato, gli occhi che brillavano. «Adoro quando fai il geloso! Tu sì che mi dai soddisfazione!» gongolò, con sguardo e tono intrisi di malizia, sordo alle imprecazioni che Kidd stava tirando.
    «Lasciami Killer! Giuro che lo uccido! Gli cambio i connotati, gli…»
    «Amico, ti esplode la giugulare se non ti calmi.» sghignazzò Killer, continuando a trattenerlo.
    Una serie di trilli, alcuni sincronizzati tra loro, gli altri a intervalli di decimi di secondo uno dall’altro, risuonarono tutti intorno al tavolo circolare. Ci fu un attimo di silenzio in cui tutti si misero a frugare nella tasca della giacca per estrarre il cellulare e verificare che era arrivata una notifica sul loro gruppo di Whatsapp.
    «Messaggio di Pen?» chiese Law e tutti annuirono o risposero con dei lievi grugniti e mugugni mentre aprivano la chat per scoprire che si trattava di un messaggio vocale.
    «Faccio partire io.» si offrì Sabo, schiacciando play.

    “Ciao ragazzi” risuonò la voce di Pen. “Sto arrivando. Scusate, ho avuto un contrattempo. Se volete iniziare a ordinare io prendo il solito.”

    «Alleluja.» commentò Killer mentre Ace batteva le mani e Kidd grugniva qualcosa di simile a “vedi dove te lo infilo il contrattempo la prossima volta”.
    «Sta registrando ancora qualcosa.» disse Marco, pronto a far partire il messaggio che arrivò in una manciata di secondi.

    “Ehi Pupiz”

    Una serie di occhiate perplesse e incredule rimbalzò intono al tavolo.
    «Pupiz?» domandò a fior di labbra Ace a Sabo che si strinse nelle spalle, trattenendo una risata.

    “Sono quasi arrivato dai ragazzi. Volevo augurarti ancora buona serata con le ragazze.”

    «Era per Lamy.» mormorò Killer sottovoce, gli occhi accesi da una luce divertita e l’espressione concentrata. Non voleva perdersi una sola parola del messaggio.

    “Però davvero, piccola, non preoccuparti se ho fatto un po’ tardi. Ne è valsa la pena. In realtà vorrei essere ancora lì con te, a baciarti ovunque e non sai che altro.”

    Marco e Sabo azzardarono un’occhiata verso Law, che fissava un punto nel vuoto, rigido come un tronco.

    “Ora ti saluto. A presto, piccola.”

    A parte il sottofondo di musica punk che usciva dal Franky House, sul tavolo calò un improvviso e surreale silenzio.
    «Beh…» cominciò Ace dopo qualche attimo, con un sorriso che era tutto un programma. «È stato dolce.»
    Killer e Sabo non riuscirono più a trattenersi e scoppiarono a ridere, Law cercò di incenerirlo con un’occhiata e Kidd, sopracciglia corrugate e sguardo ancora in fissa sul telefonino di Marco, sembrò realizzare improvvisamente qualcosa.
    «Cioè fatemi capire. Il coglione ha fatto tardi perché stava chiavando con L…?»
    «Eustass-ya.» lo interruppe Law, la voce appena un po’ instabile per la rabbia. «È di mia sorella che stai parlando.» gli ricordò Law, lo sguardo vitreo.
    «Trafalgar io che cazzo ci posso fare se tua sorella ha scelto di mettersi con un deficiente?»
    «Ragazzi qui ci sta sfuggendo la cosa più importante!» intervenne Ace, sorridendo a più non posso.
    «Che sarebbe?»
    «Ehi ragazzi!» la voce di Pen li colse di sorpresa e tutti si immobilizzarono. «Tutto bene?» domandò perplesso, facendo una rapida panoramica del tavolo. Sabo, Ace e Izo sorridevano, divertiti da chissà che, Killer stava sghignazzando con il cellulare all’orecchio, probabilmente stava ascoltando un messaggio vocale, e Law era impegnato a trucidarlo con lo sguardo. Cos’avesse mai fatto per meritarsi un’occhiata tanto arrabbiata gli sfuggiva.
    «Mi spiace per il ritardo.» mise in chiaro, un po’ infastidito, prima di fare il giro del tavolo e accomodarsi sull’unica sedia libera, tra Ace e Marco. «Avete già ordinato?» chiese, guardando alternativamente i due pompieri. Fu solo allora che si accorse che anche Ace lo guardava in modo strano. Non omicida come Law ma il sorriso che gli stava rivolgendo non era di cortesia o di semplice scherno. Ace aveva l’aria di uno che aveva appena scoperto l’ubicazione dello One Piece e non era l’unico al tavolo a fissarlo con insistenza.
    Fece per chiedere che cosa prendeva a tutti quanti ma una voce entusiasta lo interruppe. «Ecco i drink ragazzi! Oh Pen! Eccoti!» esclamò Kiwi, mentre si avvicinava ancheggiando al tavolo, trasportando un vassoio carico di bicchieri e due ciotole di patatine. «Ecco qua! Cola Mule per il nostro bel chirurgo…» cominciò, posando il primo drink sotto il naso di Law che le fece un breve cenno di ringraziamento prima di tornare a torchiare silenziosamente un sempre più spaesato Pen. «Old Cola Fashioned per Sabo… Kidd il tuo Black Russian con una spruzzata di cola… Sex in the Cola per questo maschione…» proseguì fermandosi giusto per dare un colpetto con l’anca alla spalla di Killer che ghignò suadente in risposta. «… Tom Cola Collins e non potrei immaginare un drink più adatto a te…» si spostò verso Izo, porgendogli il cocktail rosato e servito in un bicchiere lungo, stretto e, Izo amava sempre aggiungere, meravigliosamente ambiguo. «Sour Cola per Marco… Mojito alla Cola al ritardatario, spero non volessi qualcosa di diverso dal solito eeee… Cola Sunrise per il nostro bel Raggio di Sole…» finì posando l’ultimo bicchiere di fronte a Ace, prima di accettare le lista da Law che gliele stava educatamente porgendo. «Grazie! Beh ragazzi, allora buona serata!»
    «Grazie Kiwi!»
    «Beviamo anche alla tua!»
    «Quello fatelo sempre, mi raccomando! Yuuuh!» esclamò la cameriera nel ributtarsi dentro al Franky House.
    Una rapida doccia di note li investì prima di tornare solo un sottofondo grazie alla porta che attutiva.
    «Beh ragazzi, alla salute allora!» augurò Killer, il bicchiere già a mezz’aria, impaziente di bere.
    Gli altri sette lo imitarono e Izo prese solo una piccola sorsata dalla cannuccia dello stesso colore della ciliegia che giaceva sul fondo del suo drink, insieme ai cubetti di ghiaccio. Si girò con sguardo divertito e malefico verso Pen e dopo un breve scambio di sguardi con Ace: «Allora, come mai fatto tardi, Pupiz?»
    Il sessanta per cento del sorso di mojito che Pen aveva preso si riversò sul tavolo passando dalle sue narici e il restante quaranta per cento andò giù dalla parte sbagliata, soffocandolo.
    «Cos… Che…» provò a dire tra i colpi di tosse, mentre Ace gli batteva una mano tra le scapole e Killer gli allungava un tovagliolino. Sbatté rapidamente le palpebre per spannare gli occhi venati di rosso ed estrasse il cellulare per controllare. Un brivido freddo gli attraversò la schiena quando la sua paura divenne realtà.
    Almeno ora si spiegava le occhiatacce di Law ma il rischio di venire vivisezionato da uno dei suoi più cari amici era niente in confronto alla mastodontica figura di merda che aveva appena fatto. Si guardò intorno al colmo dell’imbarazzo.
    Nessuno avrebbe dovuto saperlo. Si supponeva che restasse un segreto suo e di Lamy. Come aveva fatto a sbagliare?
    Pen sospirò quando le risate dei suoi amici aumentarono di volume.
    Va beh, ormai il danno era fatto, inutile piangerci sopra.
    Si mise smanettare con il telefonino, ridacchiando suo malgrado per la propria figuraccia e per i continui richiami di “Pupiz” che Killer, Ace, Sabo e Izo gli stavano lanciando.
    «Le stai inoltrando il vocale?» chiese Law, il tono piatto e privo di emozione ma che per Pen risuonò come una fucilata. Sollevò la testa di scatto, gli occhi pieni di sfida.
    «Sì che glielo sto inoltrando! Era per la mia ragazza e ora lo giro alla mia ragazza! È un problema per te?» reagì con illogica aggressività e un pizzico di desiderio di morte, a giudicare da come aveva calcato tutte e due le volte “la mia ragazza”.
    «Forse Trafalgar pensava che la sua sorellina fosse ancora pura e candida.» s’intromise subito Kidd, ghignando in direzione di Law.
    Il chirurgo si accomodò meglio contro lo schienale della sedia e incrociò le braccia al petto. «Non è quello. Anche se preferisco non venire aggiornato su quello che fate.» ci tenne a precisare, guardando gelidamente Pen. «Il punto è che ora sono seriamente preoccupato che la droghi per farla stare con lui.»
    Pen aprì la bocca per rispondere, offeso, ma non riuscì a pronunciare mezza sillaba.
    «Beh, in effetti, tu la chiami Pupiz e lei ancora professa il suo amore per te. Pubblicamente, per giunta!» s’intromise Ace, provocando un nuovo scroscio di risa a cui stavolta partecipò anche Law, limitandosi ovviamente a ghignare come anche Marco e Kidd, finalmente rilassato.
    «Oh ma dai!» protestò Pen, consapevole che non poteva proprio dargli torto. «Nemmeno fossi l’unico! Tu Perona la chiami “Voodoo”!»
    «Che c’entra?» Ace si strinse nelle spalle, continuando a sorridere. «Io e Perona mica stiamo insieme, siamo solo amici.».
    «No comunque sul serio ma da dove cazzo ti è uscito un soprannome del genere?»
    «Ma non lo so!» Pen si strinse nelle spalle. «Scusa tu ti ricordi come ti è venuto il tuo soprannome per Nojiko?» chiese poi, nella speranza di dirottare l’attenzione su Kidd.
    Il meccanico sbatté le palpebre un paio di volte perplesso. «Io non ho nessun soprannome per Nojiko.» ribatté.
    Pen fu preso in contropiede. «Sul serio?»
    «Certo che sono serio! Cos’è adesso questa?! Una cazzo di regola?!»
    «Ma no! È solo che dare un soprannome alla propria ragazza mi sembra una cosa…»
    «SUUUUUPEEEEEEEER!!!!»
    «Non era quello che stavo per dire.» ci tenne a precisare Pen mentre Franky si avvicinava ancheggiando.
    «Eccoli qui i miei fratelli tutti riuniti! Che cosa Suuuuuupeeeeer!» esultò, accostando gli avambracci sopra il capo e muovendo il bacino avanti e indietro a pochi centimetri dalla faccia di Ace.
    «Ehehi, fratello!» Ace sollevò le mani altezza viso, un po’ per schermarsi, un po’ per fermare Franky. «Non che non apprezzi il tuo entusiasmo ma sai che non bazzico da quella sponda io! Se vai da Izo è facile che ti da più soddisfazione!» suggerì, indicando l’amico che, mani intrecciate dietro la nuca stava chiaramente imitando il movimento di Franky da seduto, con un’espressione che era tutta un programma.
    Se non che Franky non aveva ovviamente sentito una sola parola, troppo impegnato a ballare e l’udito un po’ ovattato dalla musica a palla del locale. Per fortuna, smise comunque di sventolare il proprio pacco, coperto tra l’altro da solo un paio di striminzite e variopinte mutande, e piegò il busto in avanti, posando i suoi enormi avambracci sulle spalle di Ace e Pen. «Allora come stanno i miei fratelli figli di un’altra madre?! I drink sono di vostro gradimento o sono Suuuuupeeeeer?!»
    «Super come sempre Franky!» rispose Sabo, sollevando il bicchiere verso di lui.
    «Franky, questa ti piacerà!» Killer si sporse verso di lui, galvanizzato. «Sai Pen come chiama Lamy nell’intimità?»
    «Killer non…»
    «Pupiz!»
    «Non la chiamo così nell’intimità! È solo un soprannome affettuoso! Ma non la chiamo così quando… quando…» la voce gli venne meno quando Law gli lanciò un’occhiata di avvertimento.
    Franky spostò lo sguardo da Killer a Pen un paio di volte, mentre tutti gli altri scoppiavano a ridere per l’ennesima volta a spese del loro amico. «Davvero la chiami così?» domandò il gigantesco barman.
    «Io… beh ecco…» Pen provò ad articolare una risposta, del tutto non necessaria visto che il suo viso era diventato un tutt’uno con i suoi capelli. «Sì.» ammise alla fine e attese che anche Franky scoppiasse a ridere.
    E forse se Franky fosse scoppiato a ridere sarebbe stato meglio. Perché certo sarebbe stato doloroso per il suo ego ma non per le sue spalle che probabilmente si incrinarono quando il gigantesco barman gli diede una poderosa pacca mentre commentava: «Ma sei super-dolce! Che cosa romantica!»
    «Romantica?» grugnì Kidd.
    «Ma certo! È romantico avere un soprannome per la propria donna.» ribadì Franky, facendo ondeggiare il ciuffo blu. «È una cosa intima, personale. Alle donne piace sapere di essere uniche per il proprio uomo e un soprannome come questo glielo ricorda e le fa sentire suuuuuper-amate e suuuuuper-desiderate!» spiegò, muovendo le spalle al ritmo dei bassi che filtravano attraverso la porta del Franky House. «Comunque ora devo rientrare, fratelli! Ma dopo passate a salutarmi prima di andare! È sempre Supeeer vedervi!»
    Otto paia di occhi seguirono il deretano di Franky mentre, dimenandosi, rientrava nel locale prima di tornare a guardarsi tra loro. Per una cosa come cinque secondi tutti sorseggiarono il proprio cocktail senza parlare finché Izo non posò il proprio Tom Cola Collins e, con eleganza, sovrappose le proprie mani, affusolate e curate, una sull’altra. «Allora…» cominciò, osservando i propri amici con sguardo penetrante. «… vogliamo continuare a fingere che qui nessun’altro usa soprannomi per il proprio partner o la finiamo subito?» domandò, già esaltato da quel che sicuramente sarebbe seguito.
    Kidd corrugò le sopracciglia, scocciatissimo, il bicchiere di Black Russian con uno spruzzo di cola ancora accostato alle labbra. «Io non ho nessun soprannome per Nojiko!» ripeté, stavolta ringhiando.
    «Oh Kiddo-kun, smettila di ringhiare che mi ecciti quando fai l’aggressivo.»
    Marco si schiarì la gola. Izo si voltò verso di lui istantaneamente, gli occhi che brillavano. Senza una parola, Marco allungò una mano per posarla sulla coscia del proprio ragazzo.
    «E quindi?» domandò Ace, impaziente. «È come dice Izo oppure no?»
    Ancora silenzio, ancora una serie di occhiate.
    «Va bene visto che nessuno vuole iniziare, comincio io!» decise Izo, che fremeva sulla sedia, contenendosi a stento.
    «Perché, “Marco-chan!” non è un soprannome già abbastanza imbarazzante?» chiese Killer, imitando alla perfeziono il tono acuto e un po’ cantilenante dell’amico.
    «Ma quello è il suo nome, sciocchino! Come soprannomi invece ha Gambe Sexy, Dita Leste…» Izo cominciò a elencare, tenendo il conto con le dita.
    Tutti si girarono increduli verso Marco, che non dava segni di volerlo fermare, e il biondo rispose ai loro sguardi arcuando le sopracciglia in un’espressione che voleva chiaramente dire “Cosa volete che faccia, ormai ci ho rinunciato”.
    «…Lingua Magica…»
    «Okay Izo! Okay! Ci siamo fatti un’idea!» lo fermò Sabo.
    «Scusa, per curiosità, ma te come lo chiami?» chiese Pen e subito Ace si sporse in avanti con il busto per poter guardare Marco, che si strinse nelle spalle.
    «Izo.» rispose, lasciando trasparire quanto fosse ovvio, e poco ci mancò che Izo si sciogliesse sulla sedia solo a sentire la voce di Marco pronunciare il suo nome.
    «Anche perché lui ne usa abbastanza per tutti e due.» commentò Killer, indeciso se essere più divertito o più perplesso dalla reazione di Izo che, a quelle parole, si girò fulmineo verso di lui, posando il mento sull’intreccio delle proprie dita.
    «E tu Kira-kun? Tu come la chiami la dolce Bonnie Bon Bon?»
    Per un attimo, l’ombra di un sorriso balenò sul volto di Killer, un sorriso molto particolare, non divertito né innamorato ma assolutamente rapito, prima che il ragazzo lo tramutasse in uno dei suoi soliti ghigni storti e scrollasse le spalle. «In nessun modo particolare.» minimizzò, sollevando proteste da metà dei presenti.
    «Ma dai non è possibile!» protestò Pen. «Non ci credo che sono l’unico!»
    «Io l’ho detto che questa cosa del soprannome era una stronzata.» mormorò Kidd.
    «In realtŻ ritrattò Killer, svaccandosi sulla sedia e portando il piede destro sul ginocchio sinistro. «…ci sarebbe un piccolo aneddoto al riguardo.» ammiccò, godendosi la reazione dei suoi amici che presero subito a incitarlo perché raccontasse. Si concesse di fare il prezioso giusto una trentina di secondi prima di sospirare e tornare a posare gli avambracci sul tavolo. «E va bene. Ve lo racconto. All’inizio ho provato a darle un soprannome affettuoso che fosse solo per lei. Cioè non come una cosa programmata, mi è venuto così dal niente mentre lo facevamo.»
    «Risparmiaci i dettagli, per favore.» lo ammonì subito Kidd e Killer gli lanciò un’occhiata di striscio prima di ricominciare a raccontare.
    «Quindi niente lo stavamo facendo e stavamo insieme da tipo tre settimane credo.»
    «Il che per te era già un record.» commentò Ace, facendo sghignazzare Pen, Sabo e Law.
    «E io me ne esco con questo soprannome e indovinate come la chiamo?»
    «Come, come, come?» chiese Izo, saltellando sulla sedia.
    «Baby.»
    Svariate espressioni si dipinsero sul volto dei ragazzi. Incredulità, disapprovazione, solidarietà all’idea di come Bonnie doveva aver reagito.
    «Uuuuh Killer.»
    «Già.» annuì stoicamente il biondo.
    «Però sei coglione!» esclamò Sabo. «Come ti è venuto di chiamarla come la sua migliore amica nel bel mezzo di un rapporto?!»
    «Non ci ho mica pensato! E ovviamente non lo intendevo in quel modo quando l’ho detto a lei!»
    «Ma lei come l’ha presa?» domandò Law, immaginando già la risposta e ghignando preventivamente.
    Killer gli lanciò un’occhiata sofferente. «Raramente in vita mia ho provato un dolore del genere. Ma almeno, sapendo che anche volendo non avrei comunque potuto farlo tanto mi faceva male, l’astinenza a cui mi ha obbligato per le tre settimane successive è stata più semplice da sopportare.»
    «Ahahahahahah! Che spettacolo!» rise Izo, battendo le mani. «Mi piacciono questi aneddoti! Qualcun altro?» chiese, guardando famelico tutti gli altri.
    «Sabo.» mormorò Ace, sorridendo cospiratore, e il biondo sobbalzò appena sulla sedia. «Tu non hai niente da raccontarci? Qualche succosa storiella su te, Bibi e piccanti soprannomi?»
    Sabo sollevò le mani ai lati del viso. «Io la chiamo Principessa.» ammise. «Ma non ho altro da aggiungere Vostro Onore.» lanciò una maliziosa occhiata verso Law, che stava prendendo un sorso di Cola Mule, beatamente ignaro, prima di aggiungere: «Forse, però, il mio amico qui ha qualcosa da dire al riguardo.»
    Law si immobilizzò con le labbra ancora incollate al bordo del boccale di rame, prima di abbassarlo e girarsi a guardare Sabo come se fosse impazzito. «Ma di che parli?» si accigliò, dopo aver deglutito il cocktail. «Sai benissimo che non sono il tipo.»
    «Tu no.» confermò Sabo, sorridendo saputo. «Ma Koala sì. Vero, Panda?»
    Law si irrigidì e rischiò di sputare nel boccale quando la saliva gli andò di traverso. Considerato il soggetto, era una reazione tanto eloquente quanto quella che aveva avuto Pen e tutti gli occhi si focalizzarono su di lui ma Law era troppo impegnato a fissare Sabo a occhi sgranati.
    «No, non me l’ha detto lei.» Sabo rispose alla sua domanda inespressa, sorridendo ancora di più. «L’altro giorno ti ha chiamato così e tu hai risposto come se fosse normale. Dovreste stare attenti a non fare le cose sovrappensiero quando c’è in giro qualcun altro.»
    «Panda?» domandò Pen, scoppiando a ridere, seguito a ruota da tutti gli altri. «Perché “Panda”, scusa?»
    «Perché “Pupiz”?» Law gli rigirò la domanda, dopo averlo trucidato con gli occhi, ma stavolta Pen non si fece intimorire.
    «Ma “Pupiz” non ha un significato, è solo un soprannome. Il panda invece è un riferimento preciso.» argomentò con un ghigno.
    «Ma che domande fai Pen, non è chiaro perché?» intervenne Killer.
    «Infatti! Guardalo com’è puccioso.» gli diede manforte Ace.
    «Trafalgar, adoro la tua ragazza cazzo!»
    «Dicci Law…» proseguì Ace, passando un braccio intorno alle spalle del moro e usando il bicchiere ora vuoto del suo Cola Sunrise come microfono. «… come ci si sente a essere in via d’estinzione?» chiese con fare da intervistatore, provocando un nuovo scroscio di risa.
    «È per le occhiaie, va bene?!» esclamò Law, esasperato prima di voltarsi verso Sabo. «Sai che ti ucciderà quando lo verrà a sapere vero?»
    Sabo si strinse nelle spalle, continuando a sghignazzare. «Ne sarà valsa la pena.»
    Un fremito di fastidio gli attraversò la schiena quando sentì le risate degli amici aumentare di nuovo di volume e chiuse un istante gli occhi per imporsi la calma prima di mormorare, calmo ma deciso: «Okay, direi che abbiamo sviscerato abbastanza quest’argomento, che dite di passare al successivo?»
    Le risate calarono finalmente d’intensità e una serie di occhiate furono scambiate prima che Killer si stringesse nelle spalle. «Okay.»
    «Come vuoi, orsacchiotto.» rispose Izo, beccandosi un’occhiata omicida.
    «Allora, qualcuno ha qualche novità?» domandò Ace, sempre sul pezzo.
    «Ah! io forse ho trovato la macchina con cui sostituire la mia vecchia.» raccontò Killer, inarcando un po’ la schiena per lasciare a Izo lo spazio che il ragazzo cercava per potersi sporgere con il busto verso Kidd e bisbigliargli qualcosa.
    «Modello?» chiese Marco.
    «Una Satsuriku. Di un nostro cliente che la compra nuova. È un po’ vecchiotta ma ho già da parte dei pezzi di ricam…»
    «Per la milionesima volta Izo! Io non ho nessun soprannome per Nojiko!!!»

    §



    Trafficò con il mazzo di chiavi, maledicendosi per essersi fatta convincere a prendere un altro Gin&Tonic. La testa le girava leggermente e le mani rispondevano poco ai suoi comandi. Fortuna che almeno aveva un portachiavi così grandi e puffoso, facile da trovare in borsetta.
    Trattenne un verso frustrato e decise che cercare di riconoscere la chiave del portone dalla forma era un’impresa fin troppo ardua. Era meglio andare per tentativi. Allungò la mano per provare a inserire la prima nella toppa, lasciando spenzolare il piccolo orso zombie che aveva chiamato Kumachi, anche se tutti trovavano strano che avesse dato un nome al portachiavi.
    La chiave si infilò fluida nella toppa ma quando Perona provò a girare in senso orario quella fece resistenza.
    Accidenti!
    Sfilò la chiave e si apprestò a provare quella successiva, un po’ tesa dal fatto che non c’era in giro nessuno, era notte fonda e lei era sola. Voleva entrare in casa in fretta e l’agitazione aumentò quando percepì dei passi in avvicinamento. Non era detto che fosse un malintenzionato ma comunque era meglio stare preparata.
    Al punto che al terzo tentativo fallito e i passi ormai dietro l’angolo, Perona mise via le chiavi e si preparò a colpire chiunque avesse osato importunarla con la borsa che, come d’abitudine, aveva un peso che si aggirava intorno alla tonnellata. Un’ombra apparve da dietro la parete laterale del suo condominio, stagliandosi sull’alone di luce emanato dal lampione, e Perona sollevò il braccio pronta…
    «Voodoo che stai facendo?» le domandò Ace, le mani in tasca e l’espressione perplessa. Sospirando sollevata, Perona abbassò il braccio e lanciò un’occhiata di rimprovero al suo migliore amico.
    «Mi hai spaventata!»
    «Non era mia intenzione.» ribatté Ace con un’alzata di spalle. Riprese ad avvicinarsi e le sorrise radioso. «Andata bene la serata? Sembri un po’ sbronza.»
    «Sono solo brilla!» si offese la rosa, portando le mani sui fianchi. La borsa appesa al polso la sbilanciò lateralmente e Perona ondeggiò sui tacchi, cercando inutilmente di ritrovare l’equilibrio. Il piede destro perse stabilità e la ragazza crollò verso sinistra, chiudendo gli occhi per prepararsi all’impatto. Ma anziché andare a sbattere con tutto il fianco sul cemento, si ritrovò con il busto piegato in avanti, la gamba sinistra ben piantata a terra, le braccia aperte all’esterno e la guancia spalmata contro qualcosa di solido e molto molto caldo.
    Riaprì un occhio e, quando il suo campo visivo si ritrovò interamente occupato da un ciondolo a forma di picche, agganciato a un cordino rosso, posato contro una porzione di pelle liscia e bronzea, Perona capì che il qualcosa di molto solido e molto caldo altro non era che il pettorale di Ace. Si rese conto che a tenerla in piedi e stabile non era la gamba che ancora poggiava a terra ma le mani del ragazzo sui suoi fianchi e, un po’ a fatica, portò le mani sugli avambracci di Ace per usarli come appiglio e rimettersi dritta. Quando sollevò il capo per guardarlo la voglia di picchiarlo si impadronì selvaggia di lei di fronte alla sua espressione di scherno.
    «Sicura che non devo accompagnarti su e prepararti un resuscitamorti?» insistette Ace.
    «Oh smettila! Mi sono solo sbilanciata ma non sono sbronza!» s’imbronciò Perona. «E comunque cosa ci fai qui?» cambiò bruscamente argomento, senza nemmeno realizzare che erano ancora una tra le braccia dell’altro.
    Ace si accigliò per un attimo e poi si fece serio, così innaturalmente serio da preoccupare Perona anche nel bel mezzo del suo annebbiamento da alcool e stanchezza. «Devo chiederti una cosa?» si decise a parlare dopo secondi che a Perona erano parsi ore.
    «Certo. Dimmi.» lo invitò cauta, deglutendo a vuoto.
    Che aveva mai da chiederle di così grave? Si conoscevano da una vita e non c’erano mai stati segreti né imbarazzo tra loro.
    «A te fa piacere che io ti chiami Voodoo?»
    Perona sgranò gli occhi quando il suo cervello finì di metabolizzare la domanda. «Cosa? Era questo? Mi… mi hai fatto prendere un colpo! Ma che ti viene in mente?! Certo che mi fa piacere!»
    Fu il turno di Ace di deglutire a vuoto e Perona ebbe l’impressione che la sua presa sui propri fianchi fosse aumentata ma forse era solo un effetto della sua mente obnubilata. «E… e perché?»
    La bocca leggermente schiusa, Perona lo scrutò per una manciata di secondi, domandandosi cosa diavolo avesse bevuto Ace quella sera per conciarlo così. «Beh… Perch酻 si fermò per scegliere con cura le parole. «Perché è una cosa solo nostra. Una cosa intima e personale e… e mi piace perché mi ricorda che per te sono speciale.» ammise, i suoi soliti freni inibitori annullati dal Gin&Tonic, e subito si maledisse quando vide l’espressione di Ace, di nuovo mortalmente seria. «Ace, senti, non so cosa tu abbia stasera ma è tardi e i…»
    Il resto della frase si trasformò in un inarticolato mugugno quando Ace le sollevò il mento e la baciò senza tanti complimenti. E l’inarticolato mugugno si trasformò in un soffocato gemito quando Perona realizzò cosa stava succedendo e rispose con foga al bacio, aggrappandosi ai baveri della giacca di Ace.
    Quando si separarono, riluttanti e per mancanza d’aria, Ace sorrideva e Perona lo fissava in trance, le guance arrossate e la bocca schiusa a prendere aria.
    «E… e questo cos’era?» domandò, senza fiato.
    Ace l’accarezzò sulla guancia, scostandole una ciocca dal viso, e piegò il busto in avanti. Perona si preparò a un nuovo contatto. «Ne parliamo domani, piccola. Stasera sei ubriaca.» soffiò invece Ace sulle sue labbra e la ragazza tornò bruscamente in sé.
    «Io non sono ubriaca!»
    «Devo aiutarti ad aprire il portone?»
    «Sono perfettamente in grado di fare da sola, grazie!»
    «Okay! Allora buonanotte Voodoo.» la salutò, scoccandole un rapido bacio stampo che la lasciò interdetta almeno quanto quello passionale di poco prima. Lo osservò allontanarsi e sparire nella notte prima di scuotere la testa e tornare verso il portone di casa. Il suo stomaco si stava producendo in un balletto degno di un acrobata e le mani le tremavano anche più di prima ma, questa volta, per un qualche motivo, non ebbe problemi a indovinare subito la chiave giusta.
    Aprì il portone e fece un passo sul gradino dell’ingresso, prima di girarsi, metà dentro e metà fuori dal condominio. Non lo vedeva ma sapeva benissimo che Ace non era veramente andato via. Da sempre quando la riaccompagnava a casa aspettava nell’ombra per assicurarsi che fosse al sicuro dentro il palazzo prima di andarsene.
    Perona sorrise nella penombra. «Buonanotte, Spruzzetto di Sole.» mormorò, senza trattenere un sorriso.
    Non vedeva l’ora che fosse domani.


    ***




    Infilò la chiave nella toppa, pulendosi le scarpe sullo zerbino a forma di trancio di pizza hawaiiana. Il pianerottolo era immerso nella penombra e sulla tromba delle scale non si sentiva volare una mosca. Girò le chiavi per far scattare la serratura, cercando di essere il più silenzioso possibile per paura di svegliare Bonney. Non paura intesa come dispiacere all’idea di interrompere il suo sonno ristoratore. Paura intesa come autentico panico. Era a metà del secondo giro di chiave quando avvertì una presenza alle proprie spalle.
    Un respiro sul collo e si irrigidì, due canini sulla giugulare e deglutì a vuoto. Un riverbero viola nel buio, una mano tra le scapole che scendeva verso il basso, elettrizzandogli la colonna vertebrale, per poi spostarsi insieme alla sua gemella ad afferrargli le natiche e strizzare con evidente soddisfazione.
    Killer sorrise con aspettativa e ruotò fra le sue braccia. Con un movimento deciso se la trascino contro il petto e la baciò fino a toglierle il fiato. O meglio, quelle erano le sue intenzioni. A quanto pareva però Bonney aveva più resistenza di lui. Quando cercò di allontanarsi da lei perché anche lui aveva bisogno di aria, Bonney si aggrappò ai suoi capelli biondi e spinse la lingua ancora più in profondità, continuando a succhiare e mugugnare, scambiando i tentativi di Killer di staccarla come un invito a continuare.
    Era ormai certo che sarebbe svenuto lì sullo zerbino di casa che finalmente Bonney smise di reclamare il possesso unico e assoluto sul suo apparato respiratorio. Ormai cianotico, Killer inspirò cercando di dare una parvenza di dignità al suono rauco e sofferente che si liberò dalle sue corde vocali. Il busto piegato in avanti, le mani sulle ginocchia, le lanciò un’occhiata di sottecchi e si rimise a ghignare. «Credevo fossi già a casa.» Era raro che le ragazze facessero più tardi di loro quando uscivano in gruppi separati.
    Bonney lo squadrò da capo a piedi con un certo apprezzamento e per un attimo Killer si chiese se l’avesse sentito. «Le ho convinte tutte a fare un ultimo giro verso mezzanotte…» spiegò, avvicinandosi ancheggiante a lui. «…e la cosa è sfuggita leggermente di mano.» proseguì, posando le mani sulla porta ai lati del suo viso.
    Le narici di Killer fremettero nel percepire un fondo di vodka nel respiro della propria ragazza, mischiato ai frutti di bosco che provenivano di sicuro da una qualche torta che doveva essersi divorata da poco. Il punto era che, per quanto Bonney reggesse bene e mangiasse abbondantemente, si vedeva dai suoi occhi che ci aveva dato dentro per bene quella sera.
    E a Killer farlo ubriaco piaceva da morire. Si pentì di non aver buttato giù un’altra decina di shottini di rhum prima di tornare a casa ma era certo che avessero della sambuca con cui avrebbe potuto porre subito rimedio. Immerse una mano tra le sue ciocche rosa e con l’altra le accarezzò la schiena e il sedere.
    «Quindi ti sei divertita?» le chiese, a un soffio dalle sue labbra perfettamente tinte di rosso.
    «M-mh.» mormorò Bonney in risposta, gli occhi fissi sulle labbra di Killer.
    «Spero tu abbia voglia di divertirti ancora un po’, Lolly-Pop.» ribatté Killer, con un ghigno sfrontato e saputo, in attesa della reazione di Bonney che non deluse le sue aspettative.
    Bonney sollevò lo sguardo, gli occhi carichi di eccitazione e lussuria. Non sapeva perché ma sentirsi chiamare così da Killer la accendeva dentro. Di certo il fatto che inizialmente Killer usasse quel soprannome solo prima di farle un cunnilingus doveva aver aiutato con l’associazione. Si avventò ingorda sul suo collo e cominciò a mapparne ogni centimetro con la lingua, mentre gli slacciava alla cieca i bottoni della camicia, sotto la giacca aperta.
    Killer appoggiò la nuca alla porta e chiuse gli occhi, con un sospiro, quando Bonney si spostò verso il suo petto nudo e poi ancora più giù, sempre più giù, slacciandogli la cintura e i jeans.
    Killer riaprì gli occhi. «Bonney?»
    La rosa guardò in su, determinata. «Niente Bonney.» lo ammonì, seria.
    Una scintilla accese gli occhi di Killer e, come le mani di Bonney afferrarono l’orlo dei suoi boxer, il ragazzo smise di pensare, di preoccuparsi del rumore del fatto che si trovavano sul pianerottolo e che quel rompipalle senza una vita di Kizaru li avrebbe sicuramente arrestati per atti osceni in luogo pubblico se li avesse sentiti e beccati nel bel mezzo di una fellatio ma in fondo chi se ne fregava e poi…
    «Ah!» gemette quando Bonney cominciò lavorare di lingua mandandogli i neuroni in collisione. La sensazione umida e calda però scomparve quasi subito, obbligandolo a riaprire gli occhi e guardare in giù, verso Bonney che lo fissava di rimando con un’espressione divertita e lievemente sadica.
    «Va bene così?» domandò in un soffio, palesemente soddisfatta dell’effetto che aveva su di lui.
    Killer sorrise sghembo, riappoggiò la nuca alla porta, richiuse gli occhi e posò una mano sul capo di Bonney. «Alla perfezione, Lolly-Pop.»


    ***




    Girò la chiave nella toppa, grugnendo lievemente e sentì la serratura cedere subito, senza bisogno di sganciare anche il chiavistello, il che voleva dire che Nojiko era già a casa. Stirò le labbra scure in un ghigno soddisfatto quando una fetta di luce inondò lo zerbino.
    Nojiko era a casa ed era sveglia.
    E Kidd aveva voglia di lei.
    «Ciao!» salutò Nojiko dal bagno, mentre finiva di struccarsi l’occhio destro e passava al sinistro.
    Kidd fece scivolare la giacca giù dalle spalle imponenti e attraversò l’ingresso in quattro falcate. Senza preoccuparsi di rispondere al saluto, entrò in bagno e si concesse un attimo per ammirarla, vestita solo dell’intimo di pizzo color pesca, che metteva in risalto la sua carnagione olivastra e i suoi occhi cioccolato. Poi si spostò alle sue spalle, posò una delle sue grandi mani sul ventre piatto di Nojiko e incollò le labbra al suo collo, succhiando avido, le corte ciocche lilla della sua donna che gli solleticavano la fronte.
    Nojiko sorrise e mugugnò, continuando a muovere meccanicamente la falda di cotone sulla palpebra sinistra, entrambi gli occhi chiusi. Era abituata alle insaziabili voglie di Kidd e non le dispiaceva per niente soddisfarle ma il ragazzo era talmente attivo che Nojiko aveva dovuto imparare per forza a finire, in certe occasioni, di fare quello che stava facendo prima di dedicarsi a lui, senza per questo sottrarsi alle sue attenzioni. Certo, a volte diventava impossibile.
    «Ehi!» protestò Nojiko quando Kidd le morse la spalla. «Vacci piano, barbaro!»
    Kidd la guardò dal riflesso dello specchio, ancora chino su di lei, ghignando sadico e lussurioso. «Come se ti dispiacesse.» commentò e Nojiko si limitò a roteare gli occhi prima di ricominciare a struccare l’occhio. Kidd ricominciò a strusciarsi su di lei, sempre più voglioso. «Spero tu sia pronta a passare la notte in bianco, bambola.»
    Nojiko si fermò con la falda di cotone a mezz’aria, accigliata. «Bambola?!»
    Eustass Kidd non era il tipo di persona che “chiedeva”. Era un uomo d’azione e funzionava in modo semplice e lineare. Vedeva una cosa, la voleva, la prendeva e così aveva fatto anche con Nojiko. Certo non avrebbe confessato ad anima viva o morta che con lei non era stato proprio tutto così semplice. C’era stata ansia, paura di non essere ricambiato, terrore di mandare tutto a puttane, tutto sapientemente nascosto dietro una maschera di volgare menefreghismo e vanitosa furia.
    Ma aver perso completamente la testa per la ragazzina dai capelli lilla non aveva cambiato la sua indole. La sua costante paura di perderla, altrettanto costantemente rassicurata da Nojiko, non lo aveva reso più gentile. Se voleva una cosa la prendeva. Se non voleva una cosa la evitava.
    E in quel momento Kidd non voleva dare spiegazioni sull’improvviso epiteto che aveva lasciato le sue labbra senza neanche chiedere il permesso. E fece ciò che meglio gli riusciva, per ovviare il discorso.
    Agire.
    Avvolse anche l’altro braccio intorno ai fianchi snelli di Nojiko, la sollevò e, sordo alle sue proteste, si diresse verso la camera da letto. Pochi attimi ed era nudo sopra di lei, impegnato a leccarle il tatuaggio che andava da clavicola a clavicola e giù tra i due seni. Chiuse le labbra intorno a un suo capezzolo e ghignò soddisfatto quando Nojiko inarcò la schiena, conficcò le unghie nelle sue spalle possenti e gemette a occhi chiusi.
    Eustass Kidd sapeva come far impazzire una donna. Sapeva come far impazzire la sua donna.
    Scese in picchiata, verso l’ombelico, leccando e succhiando ingordo. Nojiko posò la testa sul materasso, indifesa, pronta a quello che stava per arrivare. Perché Kidd amava come faceva tutto il resto. Deciso, quasi violento, senza chiedere il permesso a nessuno.
    Si stupì quando percepì il suo respiro sul proprio pube, come se Kidd stesse esitando. Lui non esitava mai.
    «Ti piace eh, piccola?»
    «Piccola?!»
    Il tempo si fermò per un attimo. Nojiko si puntellò sui gomiti e sollevò il busto per poterlo guardare, sopracciglio sollevato, espressione perplessa. «Kidd, che ti prende stasera? Sei strano.»
    Non era strano che si autocompiacesse o cercasse complimenti, quello no. Ma era già il secondo soprannome in dieci minuti. Lui non usava mai soprannomi. Non era una cosa che faceva e basta.
    Kidd la guardò di sottecchi, immobile tra le sue gambe. Perché sì, odiava ammetterlo ma la paura era sempre lì. Nojiko era il suo One Piece e, come un pirata dei tempi moderni, non c’era nulla che avesse bramato di più e niente che avesse più terrore di perdere. E doveva sapere, senza che lui arrivasse a dirglielo chiaro e tondo, Nojiko doveva sapere quanto lui la amasse e la desiderasse e quanto fosse fottutamente importante per lui e la sua sanità mentale.
    “Alle donne piace sapere di essere uniche per il proprio uomo e un soprannome come questo glielo ricorda e le fa sentire suuuuuper-amate e suuuuuper-desiderate”
    Certo, questo non significava che glielo avrebbe spiegato.
    Si avventò sulla sua femminilità, toccando preciso e micidiale i suoi punti più sensibili, portandola all’apice in pochi attimi, le sue cosce contratte intorno al capo. Non le diede quasi il tempo di rilassare il corpo dopo l’orgasmo e si precipitò su di lei, voglioso, infilando deciso due dita nella sua fessura.
    Voleva sentirla impazzire per lui prima di darle tutto.
    Nojiko era come creta tra le sue mani. Si aggrappò ai suoi capelli, cercando di strapparglieli, si schiacciò contro di lui, urlando disperata il suo nome, implorandolo, tra gli ansiti, di smettere di giocare. Lo voleva subito. Lo voleva tutto.
    «Mi vuoi?» mormorò sadico e roco il rosso, con le labbra scure accostate al suo orecchio. Non avrebbe resistito ancora per molto nemmeno lui. Porco Roger, amava quella donna. La amava con ogni fibra del proprio essere, con tutto quello che di buono e brutto c’era in lui. Con il suo meglio e con il meglio del suo peggio. Kidd amava Nojiko. «Anche io ti voglio.» E voleva soltanto che lei lo sapesse. «Ti voglio da morire, baby.»
    Nojiko smise di ansimare. Smise di invocare il suo nome. Smise probabilmente anche di respirare a giudicare da come si raffreddò in fretta il suo corpo. Solo la sua femminilità continuava a rispondere positivamente all’intrusione ma era come se fossero due identità separate. Nojiko non sentiva più le dita di Kidd dentro di sé, il suo respiro addosso, il suo torace contro il seno.
    Nojiko stava guardando Kidd con quello sguardo omicida che Kidd ringraziava di non aver mai visto rivolto a sé. Almeno fino a quel momento.
    «Baby?!» mormorò piano Nojiko, in un soffio troppo calmo per non mettere i brividi.
    Kidd sfilò la mano da lei e mise su un broncio scocciato e infastidito, che non sarebbe potuto essere più lontano di così dal suo stato d’animo reale. «Nojiko…»
    «Sai, avevo notato che eri strano stasera.» lo interruppe Nojiko, tirandosi su e sfilandosi da sotto di lui. «Temevo ci fosse sotto qualcosa, non ho voluto pensare subito al tradimento perché ti amo e mi fido di te però…»
    Kidd sgranò gli occhi, scioccato. Tradimento?!
    «Ohi! Non dire cazzate, non è qu…»
    «Con Baby, Kidd?!?» il tono di Nojiko salì di parecchi decibel e un cane nel quartiere ululò. «Con tutte le donne del pianeta, una delle mie più care amiche?!?»
    Non c’erano lacrime nei suoi occhi, non c’era traccia di sofferenza. C’era solo furia, tanta, spaventosa, letale furia. E Kidd suo malgrado indietreggiò, maledicendosi. Maledicendo quel deficiente di Franky, quel rimbambito di Izo, i dieci shottini di rhum che si era fatto convincere a bere in una gara dell’ultimo minuto con Marco e Ace e, infine, se stesso.
    «Se mi lasciassi spiegare, porca puttana!» protestò, ormai in piedi accanto al letto.
    «Ho sentito abbastanza!» abbaiò Nojiko, mentre si dirigeva decisa verso l’armadio, lo sguardo fiammeggiante.
    «E non hai capito un cazzo! Non è come pensi tu e… c-che stai facen… Nojiko!» ruggì, alzando il tono per lo spavento. «Porca troia, metti giù la carabina!!!»
    Okay, non erano proiettili mortali. Okay era una carabina ad aria compressa. Ma Nojiko non sbagliava un colpo e, porca troia se faceva male!
    Lo sapeva, lui lo sapeva che questa cosa dei soprannomi era una gigantesca stronzata!

    Edited by ___Page - 15/8/2017, 11:37
  6. .
    Ciao cara!
    Ma certo che ci conosciamo! D'altra parte, però, meglio presentarsi una volta in più che una in meno. XD

    Sono contenta che sia il tuo genere e che la storia ti sia piaciuta. Spero varrà anche per i prossimi capitoli.
    Grazie di cuore per il commento e per aver letto. :*
  7. .

    APARTMENT #1
    *Koala, Law, Robin, Sabo*





    Gli lanciò un'occhiata truce da sopra il barattolo di Nutella, mentre affondava il coltello nella morbida crema marrone, la fetta biscottata pronta in mano.
    «Che hai da fissarmi?»
    Law sollevò un sopracciglio. «Non starai esagerando?»
    Un lampo omicida accese gli occhi di Koala.
    Con calma, lasciò andare coltello e posò la fetta biscottata. «Chi ha bruciato le lasagne ieri sera, obbligandoci a mangiare cereali per cena?»
    Law sostenne impassibile il suo sguardo prima di tornare a mescolare il proprio caffè, mescolare con cosa era un mistero visto che lo prendeva amaro. «Buona colazione.»

    §



    «Non ci credo!» esclamò Koala ridendo, mentre Robin si portava una mano alle labbra, gli occhi accesi dal divertimento.
    «Oh non sto scherzando! È documentato!» insistette Cora, beatamente ignaro dello sguardo omicida che suo figlio gli stava lanciando dalla porta del salotto. Già che fosse piombato lì senza preavviso, per quanto piacere gli facesse rivedere il suo vecchio e stare con lui, lo aveva destabilizzato parecchio. Ma mettersi anche a raccontare imbarazzanti aneddoti sulla sua infanzia alle sue due sadiche, vendicative coinquiline dalla memoria decisamente sviluppata andava oltre ciò che un figlio quasi trentenne poteva tollerare.
    «Papà, come mai non lavori oggi?» entrò deciso nella stanza, ponendo la prima domanda che gli venne in mente. Qualsiasi cosa pur di silenziarlo anche solo per un attimo.
    «Avevo delle ferie da smaltire. E tua madre è al lavoro così ho pensato di venire a farti una sorpresa!» allargò le braccia Cora mentre Koala si alzava dicendo che doveva andare a prendere qualcosa da qualche parte.
    Law lo osservò diviso tra la voglia di abbracciarlo e quella di strozzarlo. Voleva bene a suo padre, un bene dell'anima, era il suo modello, il suo mentore, la sua forza. Solo che...
    «E di quella volta che, sonnambulo, ha fatto pipì nel bidone della spazz...»
    «Papà vuoi fare silenzio?» non riuscì a trattenersi Law, proprio mentre Sabo entrava dalla porta d'ingresso e incrociava Koala nel corridoio.
    «Che succede?» domandò perplesso, spostando lo sguardo dalla sala a lei alla sala.
    Koala si girò a sua volta verso il quadretto padre-figlio con aria cospiratrice. «Ti ricordi quando tuo padre e mia madre sono venuti a farci un'improvvisata e Law si è divertito un sacco e li ha invitati a cena e ha anche cercato di convincerli a fermarsi a dormire?»
    «Difficile dimenticarlo.»
    «È arrivato il giorno della vendetta. Andiamo a prendere la telecamera mentre Robin li tiene occupati.»

    §



    «Ragazzi! Ma la mia camicia portafortuna che fine ha fatto?»
    Law, le braccia stese sullo schienale del divano, Koala, rannicchiata accanto a lui, e Robin, semisdraiata sulla poltrona, voltarono simultaneamente il capo verso Sabo, che stava macinando chilometri tra l'ingresso e la camera da letto sua e di Law, ormai a soqquadro, alla ricerca di qualcosa di non meglio identificato fino a qualche istante prima.
    «Camicia portafortuna?» domandò Law, aggrottando le sopracciglia.
    Sabo si fermò sulla porta del salotto, dando tregua alle proprie gambe. «Ma sì dai! La camicia che ho usato al mio primo colloquio e che metto sempre quando ho un cliente importante. E domani ho un cliente importante!»
    Law e Koala si scambiarono un'occhiata accigliata.
    «Dai ragazzi! La mia camicia portafortuna!» insistette Sabo.
    «Quella bianca con fantasia tono su tono?» domandò Robin sempre calma, sollevando appena la schiena dalla poltrona. «Cotone misto lino?»
    «Sì esatto!»
    «Bottoni madreperla? Quella con il rovescio del cannoncino verde?»
    «Sì proprio quella!» esclamò Sabo speranzoso.
    «Non so dove sia.» scosse il capo Robin rimettendosi comoda.
    Sabo lasciò cadere le spalle con un sospiro.
    «Mi pare fosse a lavare.» ricordò improvvisamente Koala.
    Sabo risollevò il capo e si passò una mano sulla nuca. «Ho guardato nella cesta ma non l'ho vista.»
    «Ricontrolla. Sono piuttosto sicura che fosse lì.»
    «Okay provo.» decise Sabo, dimenticandosi di nuovo.
    Law, Robin e Koala si concentrarono nuovamente sul film.
    «Secondo voi dovremmo avvisarlo che è finita nel carico sbagliato ed è diventata rosa?»
    «Nah.»

    §



    Non era strano che fossero diventati amici. Se non altro, avevano in comune di essere dei geni, con il QI superiore alla media nazionale. Robin si era laureata a ventun'anni, Sabo era già socio del suo studio legale a neanche trenta, Law aveva iniziato di recente la sua seconda specializzazione e a Koala mancava un mese per finire il dottorato della sua seconda laurea.
    Non che questo impedisse a Sabo di essere a volte tragicamente scemo e in generale a tutti quanti di avere una bella compagnia di amici. Ma non era sempre facile. Robin era troppo diretta, Law non faceva segreto del proprio complesso di superiorità, Koala diventava logorroica se l'argomento la appassionava, Sabo era saccente senza volerlo.
    Quindi non c'era niente di strano che fossero loro quattro e non c'era niente di strano che in quella casa tutto ciò che era elettronico andasse prima o dopo incontro a qualche problema. E, dal momento che come tutte le persone così assurdamente intelligenti erano tutti e quattro sempre affamati di nuove conoscenze quale che fosse il campo –anche se Law fingeva disinteresse e si giustificava con la mania del controllo–, non era strano nemmeno che fossero tutti riuniti in cucina a fissare Franky che sistemava la loro lavastoviglie.
    Per fortuna Franky lo sapeva e per fortuna gli piaceva essere al centro dell'attenzione. Finalmente qualcuno che si accorgeva quanto fosse SUUUUPER ammirare "Franky Aggiustatutto" al lavoro.
    «Okay fratelli, è tutto a posto.» dichiarò l'omone, chiudendo lo sportello. Nessuno di loro trattenne un sospiro di sollievo nel sentire il familiare "click" che annunciava l'inizio del programma di lavaggio. «Ora va.»
    «Grazie Franky.»
    «Ma quindi qual era il problema?» chiese asciutto Law.
    Franky esitò un istante.
    «L'avevate messa in pausa.»

    §



    Le chiavi precipitarono al suolo con un tintinnio mentre Sabo e Law si pietrificavano all'inizio del corridoio.
    «Robin ma cosa fai?!?!»
    «Siete tornati prima.» constatò Robin, con tranquillità, come se non ci fosse assolutamente niente di strano nell'essere appena uscita dalla propria camera come mamma l'aveva fatta e senza addosso nemmeno uno straccio di asciugamano striminzito. «Vi serve il bagno? Perché stavo andando a farmi una doccia.»
    «Si intuisce.» commentò Law, non poi così turbato almeno in apparenza.
    «E non potevi spogliarti direttamente in bagno?!?»
    «Non pensavo sareste tornati in anticipo.» Robin si strinse nelle spalle, sorridendo serafica.
    «Ehi che succede?» domandò Koala rientrando in casa. «Vi si sente dal pian... U-oh! Robin forse è meglio se aspetti ancora un attimo a fare la doccia, Sabo sembra avere una certa urgenza.»
    «Cos... Koala!» protestò Sabo rosso come un'aragosta, coprendosi come meglio poteva con la tracolla di pelle. «Robin gira nuda per casa e questo è il massimo che riesci a commentare?!»
    «E che altro dovrei dire?» domandò lei, superandoli per andare in cucina. «Lo faccio anche io quando non ci siete.» si strinse nelle spalle.
    Sabo sgranò gli occhi basito e fu necessario qualche secondo perché riuscisse a girarsi verso Law che però non ricambiò la sua occhiata, troppo impegnato a fissarsi la patta dei pantaloni.
    «Okay ora siamo in due ad avere bisogno del bagno.» dichiarò Law, sollevando il capo. «Prima tu o prima io?»

    Edited by ___Page - 14/8/2017, 01:49
  8. .
    Solo che adesso ci hai messo curiosità!

    Edited by ___Page - 14/8/2017, 00:59
  9. .
    Vi... Ti posso garantire che pur conoscendo l'inglese non si capisce comunque una fava...
  10. .


    *Non la solita challenge a pacchetti*








    O forse sì, lo è!
    Bentornati e bentornate, popolo del FairyPiece! La stagione degli amori è ormai passata ed è arrivata l’estate, il periodo dei legami fugaci.

    Ma noi del FairyPiece, nostalgici fan dell’amore per sempre, abbiamo deciso di proporre una challenge sulle coppie che niente e nessuno può dividere tranne la penna di un mangaka. Nata dall’idea di una nostra utente, la cara Mindy, ecco a voi “With Canon, We Can” che vede protagoniste le poche ma buone coppie canon di One Piece e Fairy Tail.

    Come dice il sottotitolo, si tratta di una challenge a pacchetti, con un pacchetto associato a ogni coppia e composto da cinque prompt: un luogo, un mese, un cibo, una frase e un problema (chi non ne ha?!). Per non perderci nei meandri delle shipp, abbiamo scelto solo coppie ufficialmente canon (ebbene sì! In una SBS Oda ha confermato che Shakky e Rayleigh sono sposati!).

    Il regolamento di base è semplice e intuitivo. Scegliete la coppia che vi piace di più (o il pacchetto che vi piace di più) e sbizzarritevi nella forma che più vi è congeniale. Long, raccolte, one shot di tutte le lunghezze in cui unire tutti i prompt, con qualunque rating vi ispiri di più.

    Ma la sfida non finisce qui, perché, si sa, a noi del FairyPiece piace complicare un po’ le cose e vi diamo così la possibilità di prendere dei prestiti. Siete fan sfegatati della GildartsxCornelia (sì, sì, vi sento laggiù che fangirlate) ma vi ispira di più il luogo e/o la frase (o un qualsiasi altro prompt) del pacchetto SilverxMika? Ebbene, avete la possibilità di prendere in prestito il prompt che vi ispira di più dall’altro pacchetto a una condizione: trovare un modo per inserire, anche solo citandola di sfuggita, la coppia del pacchetto da cui avete preso il prestito.

    Attenzione però, potete prendere al massimo due prestiti (anche da due pacchetti diversi, ovviamente).

    Tutto chiaro fin qui? Carichi e pronti per i prompt?

    Procediamo!




    Fairy Tail


    Pacchetto SILVER💙MIKA:
    • Luogo: Città
    • Mese: Febbraio
    • Cibo: Pan di Zenzero
    • Problema: Insonnia
    • Frase: “Ma mi hai sentit@ prima?”

    Pacchetto GILDARTS💚CORNELIA:
    • Luogo: Locanda
    • Mese: Giugno
    • Cibo: Pane e Marmellata
    • Problema: Noia
    • Frase: “Mi raccomando, non perdere la strada.”

    Pacchetto RITA❤YURIY:
    • Luogo: Lago
    • Mese: Marzo
    • Cibo: Arance
    • Problema: Freddo
    • Frase: “Ho detto spegni la luce, non l’atmosfera.”

    Pacchetto LAYLA💛JUDE:
    • Luogo: Camera da letto
    • Mese: Ottobre
    • Cibo: Caffè
    • Problema: Grammatica
    • Frase: “Ti ricordi il nostro primo appuntamento?”





    One Piece


    Pacchetto ROGER❤ROUGE:
    • Luogo: Scogliera
    • Mese: Settembre
    • Cibo: Cioccolato
    • Problema: Solletico
    • Frase: “Il rosso sta bene con tutto.”

    Pacchetto YASOPP💜BANCHINA:
    • Luogo: Mercato
    • Mese: Aprile
    • Cibo: Miele
    • Problema: Allergia
    • Frase: “Cos’hai appena detto?! E mi baci con quella bocca?!”

    Pacchetto SHAKKY💛RAYLEIGH:
    • Luogo: Foresta
    • Mese: Novembre
    • Cibo: Rhum e pera
    • Problema: Mal di testa
    • Frase: “Scegli! O la bottiglia o me!”

    Pacchetto SCARLETT💚KYROS:
    • Luogo: Tetto
    • Mese: Maggio
    • Cibo: Peperoncino
    • Problema: Animaletti fastidiosi
    • Frase: “Sei un idiota.” “Sì, ma sono il tuo idiota… per sempre.”








    HTML
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    REGOLE PER LA PUBBLICAZIONE:
    -Seguire il regolamento di EFP e di Wattpad
    -Inserire nell’intro della storia *FanFiction partecipante alla challenge “With Canon, We Can” indetta dal FairyPiece – fanfiction&images*
    -Inserire il banner e il pacchetto scelto all’inizio della storia
    -Se optate per una long o una raccolta, inserire all’inizio del capitolo il prompt a cui è ispirato
    -Segnalare qui sotto se decidete di prendere un prestito, specificando quale, e, se vi va, condividete il link della vostra storia per agevolare a tutti la lettura
    -Invitate tutto il mondo a partecipare
    -Scrivete, fangirlate e divertitevi!





    With love ❤,
    Lo staff del FairyPiece.

    Edited by Zomi - 30/7/2017, 23:52
  11. .
    Io ho amato Fairy Tail, davvero con tutto il cuore. Fino a Tartaros ogni saga sembrava più bella della precedente, quando qualcuno lo definiva la brutta copia di One Piece io difendevo Mashima a spada tratta pur essendo One Piece il mio manga preferito in assoluto.
    Ma stavolta non ha scusanti. Già Avatar e la prima saga di Alvarez mi avevano lasciato perplessa, ma pensavo fossero una piccola scivolata che può capitare a chiunque, senza contare che quanto meno Avatar rispondeva a qualche domanda lasciata in sospeso durante la guerra dei draghi dopo i GMG. Quando è iniziata la seconda saga di Alvarez ho pensato che fosse tornato in tutto il suo geniale splendore ma è durata poco. Me lo sentivo che sarebbe stato deludente, dopo Universe One non ho più avuto dubbi ma questo capitolo è andato oltre le mie più nere aspettative.

    Avete già detto tutto e con tutto concordo ma su un punto ci tengo a dire la mia.
    Per il discorso StingYu, Rukino, Stinerva, Ronerva (Ma una bella Stingue e tutti contenti?!) io spero non sia veramente dipeso dal fatto che i fan fossero divisi su chi accoppiare con chi, perché non lo giustificherebbe. Lui è l'autore a lui stava scegliere senza farsi influenzare dal fanservice.
  12. .
    Con anche la voglia color mirtillo sul naso! 😍
  13. .
    Eh Anna arriva ma ci serve un attimo per elabolarla bene.
    È work in progress e oltre il cinquanta per cento, comunque.
  14. .
    *prova a risorgere dalle ceneri tipo araba fenice*

    Ma buonasera!!!
    Benvenuta in questa gabbia di matti! Io sono Page, come puoi vedere dal nome lì di fianco e sono anche io un'aspirante scrittrice.

    Ebbene, hai veramente tantissime coppie il che è sicuramente un bene perché nella vita meno si è obbligati a scegliere meglio è! Sappi che sono andata tipo a male quando ho letto Marco/Izou e soprattutto Law/Koala :<3: :<3: :<3:

    Sebbene non disegni affatto il chirurgo con Kidd 😏

    Dunque che dire... Intanto stai serena che il tempo con calma si trova per fare tutto e ti parlo per cognizione di causa. Se è una cosa che ami in qualche modo farai!

    Poi mi unisco a te nel gioire per esserti finalmente liberata dell'apparecchio e per finire ti auguro una piacevole permanenza qui da noi! Spero ti troverai bene!

    Ancora benvenuta.
  15. .
    Ce l'ho fatta!!!

    Amore per l'altro sesso --> Gimme Five

    Swan, scusa per l'attesa, spero che almeno ne sia valsa la pena! :meredy:
592 replies since 20/2/2015
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