FairyPieceForum

Posts written by ___Page

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    Eccola!!

    Nickname: ___Page
    Fandom: One Piece
    Titolo + link della storia: Due di Picche
    Parola: Flechazo
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    Soly io vado con Flechazo! One Piece! 😎 (Che novità)
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    Purtroppo a volte capita.
    Qualcuno si perde la data, qualcuno ha le migliori intenzioni e non​ riesce a finire la storia.
    Sicuramente comunque ci godremo le vostre creazioni.
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    O come dicono loro la Uan Pisu Taua. XD
    I disegni originali di Oda dal vivo sono il Nirvana.
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    Kalika cara, sfondi una porta aperta - o come si suol dire una perta aporta -.

    Le questioni lasciate irrisolte in Fairy Tail sono così tante che dubito basterebbe un nuovo manga per chiuderle ma cominciamo da quella segnalata da te.

    Ammetto di non essermi mai più di tanto soffermata su questa mancata spiegazione, forse perché me ne sono trovata una da sola. Delle molte risposte che Mashima non ha dato, questa almeno si poteva evincere in qualche contorta maniera.

    Hai pienamente ragione nel dire che non basta aver salvato Frosch per mettere l'ombra a tacere. Tuttavia io penso che Rogue, nel vedere coi suoi stessi occhi cosa rischiava di diventare, abbia poi cercato di imparare a controllare l'ombra. Anche perché, non dimentichiamo l'incessante lotta dei Draghi Gemelli per raggiungere i livelli dei loro rispettivi idoli. Sicuramente in Rogue sarà nato il desiderio di imparare a fare dell'ombra uno strumento di lotta, dopo aver visto Gajeel utilizzarla in combattimento.

    E qui ne approfitto per risponderti che sì, c'è la possessione anche nell'anime.

    Un altro elemento fondamentale è Sting. Partiamo dal presupposto che io sono StingYu ma la Stingue è la sola coppia yaoi che trovo un minimo attraente in FT.
    Il discorso però va un po' oltre.
    La frase sembra messa lì alle boia d'un giuda, pare quasi un "Va beh vada come vada al limite mi sopprime lui". In realtà vuol dire di più.
    Sting e Rogue hanno una connessione, si completano e bilanciano a vicenda. Sono come Castore e Polluce. Grazie al loro legame i Dioscuri avevano accesso sia all'Olimpo che all'Inferno.

    Non è un caso che Rogue sia più sereno se c'è Sting con lui. Non è, secondo me, una frase detta tanto per, quando la conferma che, se sono insieme, Rogue ha più possibilità di mantenere il controllo. Il rischio di uccidere il proprio migliore amico, il pensiero di obbligare Sting a uccidere il proprio migliore amico, la luce che non annulla l'ombra ma la completa e permette a Rogue di esserne padrone.

    Se Mashima lo abbia fatto di proposito non so, ma io ci vedo una logica che porta da sé alla soluzione, nonché un parallelo con la mitologia.
    Se i GMG sono l'Olimpo - la gloria, i festeggiamenti, combattimenti organizzati per puro intrattenimento -, e non dimentichiamo di come Sting perda la bussola quando si allontana da Rogue, dopo la scomparsa di Lector e la cacciata di Yukino, e Tartaros è l'inferno, ancora di più si può vedere come solo insieme possano affrontare determinate situazioni.

    Temo di essermi lasciata trascinare ed essere andata anche leggermente Off Topic, perciò ora mi fermo.

    A voi.
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    -Perché dovrei darle il mio numero di telefono?-
    -Ma dice sul serio?-
    -Certo che dico sul serio, ragazzina! Perché dovrei?! Non la conosco nemmeno!-
    -Ma...-
    -Cosa "ma"?!-
    -Signor... Eustass, giusto? Signor Eustass è lei che ha accettato di fare la registrazione. E poi... Chissà che non capiti di conoscerci meglio...-


    Coppia: Sanji x Viola
    Prompt: lavagna
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    E fu così che giunse una nuova saga e le probabili due canoniche settimane di pausa...
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    Stiamo facendo un giro di sondaggio proponendolo per il 30 di Aprile.
    Vediamo cosa ne viene fuori!
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    CITAZIONE (Annapis @ 9/3/2017, 22:05) 
    2.-E tu cosa ci fai qui?
    -Ti aspettavo!
    -Ma, come diavolo facevi a sapere che sarei arrivata ora?
    -Non lo sapevo. Mi sono seduto e mi son detto "Ok, conto fino a dieci, se non arriva ke ne vado." E sei arrivata.
    -E a che numero sei arrivato?
    -Duemilasettecentonove, ma potevo continuare

    Anna posso usarla?
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    In ritardo secondo ogni dimensione temporale e sistema di calcolo, eccomi a darti finalmente il benvenuto cara, carissima, meravigliosa donna!
    È un piacere infinito averti con noi, te è la foresta nera!
    Spero ti troverai bene qui! :frankythè:
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    Comunicazione urgente per tutti i partecipanti al C&S Day!!
    Come ci è stato segnalato da un admin di EFP, è contro il regolamento inserire frasi in grassetto nelle intro delle storie. Chiediamo quindi, chi di voi avesse grassettato - come le sottoscritte - la dicitura *FF partecipante al C&S Day...* per evidenziarla, di riportarla a carattere normale.

    Grazie per la collaborazione.
    Page&Zomi.
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    Il sunto dei sunti!
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    Grande Kali!!!
    Io già fatto e quasi mi sono commossa perché il capitolo sembra lungo anche su EFP! :freed:
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    Questa fanfiction è stata scritta per il contest "Tè o caffè?" a cura di Fanwriter.it e pubblicata su EFP nelle date previste dal regolamento del contest. Ispirata ai prompt "Se non puoi risolverlo con una tazza di tè allora è un problema serio" e "A cup of tea solves everything".
    Hope you'll enjoy it. 😉
    Page.







    TRIMETILXANTINA
    *Niente che non si possa risolvere...*








    Si chiamava P.H. Lab. e già dal nome, anche senza guardare la vetrina, pareva molte cose ma di certo non un luogo accogliente dove recarsi a bere qualcosa di caldo e confortante o di fresco e rigenerante, a seconda della stagione.
    La maggior parte di coloro che varcavano la soglia lo faceva per mera curiosità che di rado veniva saziata, perché diventava ancora più complicato capire dove si fosse finiti, di fronte alle innumerevoli ampolle e beute, disposte ordinatamente sugli scaffali zancati al muro, che contenevano polveri di ogni sorta e variopinti liquidi di difficile identificazione.
    Solo i più coraggiosi, quelli che prendevano posto e qualcosa di bere, scoprivano che il P.H. Lab. era una sala da the dei cui prodotti diventava difficile fare a meno una volta provati. Una sala da the sperimentale, dove ogni giorno o quasi si poteva provare una nuova miscela o proporne una di propria invenzione. Un luogo per estimatori della bevanda non troppo attaccati alle tradizioni ma anzi vogliosi di ampliare i propri orizzonti.
    Ragion per cui sorgeva spontaneo chiedersi cosa ci facesse un caffeinomane come Law in un luogo simile. Se doveva essere completamente sincero, se lo stava chiedendo anche lui. Il punto era che, quando era entrato, aveva anche una risposta più che valida a suddetta domanda ma ora, dopo appena cinque minuti immerso nei fumi di quel tempio pagano, la sua motivazione non sembrava più così inattaccabile.
    «Shurororororo.»
    Di certo, lui non aiutava.
    «Shurororororo.»
    Law fece appena lo sforzo di lanciare un’occhiata in tralice verso il distillatore che borbottava pigramente nell’angolo, rilasciando un odore amarognolo nell’aria e provocando quel poco di vapore che bastava a dare l’impressione che Caesar fosse capace di fluttuare.
    «Shurororororo.»
    «Che ha da fissarmi?» chiese alla fine in quella che era la sua interpretazione dello “sbottare”, che consisteva sostanzialmente nello smettere di ignorare un qualcosa che aveva ignorato fino a un attimo prima senza abbandonare il suo tono perennemente strascicato e calmo.
    Monet sorrise da sopra il bordo della sua tazza di the, sollevata a mezz’aria a due mani,
    «Qual è il problema, Law?»
    Il sorriso era tanto materno quanto psicotico ma non era certo questo il motivo per cui il moro si irrigidì. Dopotutto era un tratto che avevano in comune.
    «Chi ti dice che ho un problema?»
    Monet posò la tazza di the sul piattino con un lieve tintinnare di porcellana prima di piegare il capo di lato e posare la guancia sul palmo con algida eleganza. «La tua presenza qui, cugino. Questo mi dice che hai un problema.»
    «Insomma non hai contemplato nemmeno per un momento la possibilità che potrei essere passato solo per farti un saluto.» concluse Law, senza lasciar trasparire nulla dalla propria espressione, colpa o fastidio che fosse. «È bello sapere che hai quest’opinione di me.»
    «Io sono felicissima di vederti, Law. Ma sarei ancora più felice se tu mi raccontassi cosa c’è che non va.»
    Law roteò gli occhi e scrollò le spalle contro la sedia. Non gli piaceva mentire. Da uomo tutto d’un pezzo qual era, Law cercava di essere sempre il più sincero possibile ma questa sua nobile abitudine si rivelava a volte un’arma a doppio taglio. Come in quel momento, ad esempio. Perché se voleva rimanere fedele al proprio codice d’onore non poteva negare che Monet avesse fatto centro pieno.
    Era lì perché, come sempre quando andava al P.H. Lab., aveva un problema. Un problema troppo impellente per poter aspettare di incontrarla fuori dall’orario di apertura della sua sala da the. Ma non era come se avesse poi molta fretta di ammettere che aveva ragione.
    Un’altra cosa che a Law non piaceva affatto era essere prevedibile.
    «Posso offrirti qualcosa da bere?» domandò la giovane dopo una manciata di secondi di caparbio silenzio.
    «Puoi. Non è detto che io accetti.» ribatté Law, sollevando un sopracciglio.
    Monet si sporse in avanti con il busto, gli occhi accesi da una luce complice ed elettrizzata. «Vorresti del caffè?»
    Qualcosa si tese dentro Law, un filo di speranza che lo lasciò per un millesimo di secondo senza fiato. «Ne hai?» chiese, cercando disperatamente di suonare più scettico che speranzoso.
    «Ovviamente no.» rispose prontamente la verdina, rimettendosi dritta e tornando a sorridere con una punta di soddisfazione nel vedere l’espressione di suo cugino smontarsi e tornare atona come sempre. «Ma giusto stamattina Caesar ha pensato a una nuova miscela che sembra molto interessante. Potresti farci da cavia.» propose indicando con un gesto fluido della mano verso il distillatore, dentro le cui ampolle gorgogliava un liquido rosa acceso con riflessi rossastri dall’aspetto alquanto poco rassicurante.
    Law odiava profondamente quando arrivava al punto di dover andare a chiedere aiuto a Monet alla sua sala da the. E questo perché Law odiava chiedere aiuto ma soprattutto odiava il the. E odiava dover parlare dei propri problemi senza poter sorseggiare una tazza di caffè nero. Sui suoi nervi la caffeina aveva un effetto calmante e non poterne avere un po’ lo rendeva terribilmente nervoso. Ragion per cui risultava estremamente complicato mantenere la calma mentre veniva scandagliato dagli occhi indagatori e ambrati di Monet senza nemmeno poter contare su un po’ di quel che sua cugina amava chiamare eresia in tazza.
    Se poi Monet aveva anche in animo di prenderlo per il culo la sua voglia di prendere Caesar e infilarlo nel distillatore diventava sempre più difficile da tenere a bada.
    «Monet lo sai che io odio…»
    «Shurorororo!» la risata di quel pagliaccio del socio di Monet esplose nell’orecchio del moro. Una tazza identica a quella posata di fronte a sua cugina ma contenente un liquido color magenta spuntò sotto il suo naso. «L’ho chiamata “Smiley” Law-kun. Poi dimmi che ne pensi.»
    «…il the.» concluse Law, lanciando un’occhiata assassina a Caesar che continuò imperterrito a sorridere inquietante e ignaro del rischio concreto di diventare lui la cavia di Law per il suo primo esperimento di vivisezione umana.
    «Purtroppo non ho altro da offrirti se non il mio aiuto e il mio affetto e, qualora fosse necessario, la mia spalla su cui piangere.»
    «Non sono e mai sarò a quei livelli, dovessi campare cent’anni.» commentò atono Law.
    «Io sto ancora aspettando di sentire qual è il problema che ti ha portato qui.»
    «Sarebbe più facile parlartene se si potesse avere una tazza di caffè.» ribatté Law con un sorrisetto sarcastico.
    «Allora è vero che hai un problema.» fu tutto ciò che ottenne in risposta da Monet, che come, ciliegina sulla torta, aveva anche sollevato un sopracciglio sottile e color lime in una perfetta e impeccabile imitazione del cugino.
    Law la fissò cinque secondi abbondanti, le iridi sbiancate e la mascella contratta prima di ritrovare il suo mai del tutto perduto self-control. Cambiò posizione sulla sedia, svaccandosi per simulare una tranquillità e una serenità che erano quanto di più lontano dal suo reale stato d’animo in quel momento. «Semplicemente non potevo restare a casa e ho pensato che passare a trovarti fosse un buon modo per ammazzare il tempo.»
    «Non potevi restare a casa?»
    «Esatto.»
    «Non vedo come sia possibile che tu non possa stare a casa tua.»
    «Non vedo come il fatto che tu non lo trovi possibile sia un mio problema.»
    «Se non hai intenzione di spiegarmi dovrò tirare a indovinare e non è detto che le mie ipotesi ti piacciano.»
    «Non è detto nemmeno che io stia ad ascoltarti. Si può sapere perché continua a fissarmi?» sbottò di nuovo Law – nel suo modo pacato di sbottare – indicando con il pollice la faccia di Caesar a pochi centimetri dalla sua.
    Monet si strinse nelle spalle. «Sta aspettando che assaggi il nuovo the.»
    «Non ho nessuna intenzione di assaggiarlo.»
    «Allora non credo si sposterà da lì tanto presto. Qualcosa non va con Koala?» domandò, aggrottando le sopracciglia mentre si portava nuovamente la tazza di the alle labbra. Quello che colse i muscoli di Law fu meno di uno spasmo e durò meno di un secondo ma fu sufficiente per venire captato dagli occhi ormai esperti di Monet che seppe, con assoluta e totale certezza di avere appena trovato il bandolo della matassa. Con estrema calma sorbì ancora un po’ di the e riappoggiò la tazza, il tutto senza smettere di fissare il cugino, prima di parlare di nuovo: «Non ti ha lasciato vero?»
    Law socchiuse gli occhi omicida. «Non dirlo. Nemmeno. Per scherzo.»
    «Questo è un sollievo. Non oso immaginare cosa ci saremmo dovuti inventare per raccogliere i tuoi cocci e rimetterti insieme, nel caso.» affermò soave, senza notare o forse ignorando deliberatamente l’occhiata del cugino. «Tuttavia c’entra Koala e forse ora è il momento che tu mi dica cosa succede perché le ipotesi che stanno affiorando nel mio cervello non sono affatto belle e non credo tu voglia stare a sentirle. Senza caffè.» mise in chiaro quando intuì che Law aveva aperto bocca per provare, ancora una volta e contro ogni logica, a chiederne una tazza.
    L’astinenza da caffeina lo faceva sragionare.
    Law richiuse la bocca e sospirò rassegnato, lanciò un’occhiataccia a Caesar che non aveva ancora lasciato il suo fianco, si rigirò verso Monet e si passò una mano tra i capelli. «Sta studiando per quella promozione al lavoro.» disse, semplicemente, sperando che Monet fosse abbastanza arguta da cogliere tutte le implicazioni senza obbligarlo ad approfondire ulteriormente la questione.
    Purtroppo le sue aspettative non sembravano destinate a venire soddisfatte. «E quindi?»
    «Beh, hai presente me all’università?»
    «Sì, assolutamente.»
    Law le lanciò un’occhiata eloquente.
    «Oh.» commentò Monet, riordinando per un attimo i pensieri. «Quindi mi stai dicendo che vive sui libri, è intrattabile, mangia poco, dorme niente e beve litri di caffè?»
    «Già» confermò Law, mordendo un sospiro prima che lasciasse le sue labbra, con un tono rassegnato e sollevato in ugual misura. Sentir elencare ad alta voce quella che era la sua realtà domestica da tre settimane a quella parte non era molto piacevole ma avere finalmente qualcuno con cui poterne parlare era quasi rigenerante. Anche se, per poterne parlare senza sentirsi in torto era giusto precisare un paio di punti. «Non è intrattabile come lo ero io. Il vero problema è il caffè. Le picchia sui nervi, la porta al limite e il risultato è che esplode per ogni minima cosa. Sono tre settimane che litighiamo per ogni stronzata.»
    «Perché non vai a stare da Lamy fino a dopo il suo esame?»
    «E invadere il nido d’amore dei due piccioncini?» ribatté gelido e lievemente disgustato all’idea di assistere ai tentativi di Pen di divorare la faccia di sua sorella.
    «Da Sabo allora.»
    «Scartiamo l’ipotesi trasferimento, okay?»
    Monet lo scrutò silenziosamente per alcuni istanti prima di socchiudere le palpebre in un’espressione dolce e, in qualche contorto modo, estremamente saccente, che fece rabbrividire Law di fastidio. Faceva fatica a sopportare le persone saccenti che non fossero lui. «Che dolce. Non vuoi lasciarla sola. Quella donna ti ha veramente fregato, cuginetto.»
    Law si chiese per l’ennesima volta quanto dovesse essere disperato per aver pensato seriamente che andare lì fosse una buona idea. Ogni minuto che trascorreva a quel tavolo si sentiva sempre più sotto esame e sempre più messo a nudo. Monet adorava avere ragione, le dava una soddisfazione indicibile trovare conferma alle proprie ipotesi e nel caso specifico della relazione tra Law e Koala andava particolarmente fiera della propria lungimiranza. La prima volta che Law gliel’aveva presentata, incrociandola per puro caso fuori dal cinema, Monet gli aveva sussurrato all’orecchio “Questa volta sei fregato, cuginetto” e da allora non perdeva occasione per ripetere quelle parole e ribadire il concetto che lei lo aveva capito alla prima occhiata.
    La sola strategia praticabile per non cedere all’impulso omicida che quel lato di sua cugina risvegliava in lui era ignorarla e continuare per la propria strada.
    «Sarebbe davvero scomodo dover spostare metà della mia roba quando ormai mancano solo dieci giorni alla fine di questo calvario.»
    «Dieci giorni possono essere molto lunghi.» gli fece notare Monet con aria saputa.
    «Ti ho detto che non mi trasferisco.»
    «In effetti c’è una soluzione molto più semplice al problema.» continuò a sorridere la verdina, portando la tazza alle labbra. Law deglutì a vuoto, invidioso e risentito di non poter avere anche lui la propria dose di trimetilxantina, nella forma però a lui più congeniale. «Hai detto che il caffè la rende intrattabile.»
    Law si limitò ad annuire. Solo sentire la parola “caffè” gli faceva ribollire il sangue da tanto ne sentiva il bisogno e non si fidava nemmeno della sa voce.
    «Disfati di qualunque traccia di caffè fino al giorno dell’esame. Butta via quello che hai in casa e non comprarne finché Koala non avrà finito di studiare.»
    Questa volta, Law non riuscì a impedirsi di sgranare gli occhi inorridito. Che eresia avevano appena sentito le sue orecchie?
    «È l’idea più idiota che abbia mai sentito. E Koala mi smembra se provo a privarla della sua fonte di salvezza. Senza qualcosa che la tenga sveglia fino alle due non riuscirà a finire il programma di ripasso che si è prefissata.»
    Monet socchiuse gli occhi indagatrice. «È la sua fonte di salvezza o la tua?»
    Law si sporse in avanti con aria di sfida. «Monet se per risolvere il problema mi fosse bastato del caffè sarei qui ora? Caesar, piantala di fissarmi.» sbottò per la terza volta, sempre pacatamente, stavolta girandosi del tutto verso di lui.
    «Ti è piaciuto “Smiley” Law-kun?»
    «No, mi fa schifo.» ribatté lapidario e insensibile.
    «Shurororororo! Lo sapevo, lo sapevo! Sono un genio, un genio a inventare the nuovi!» si esaltò Caesar fluttuando finalmente via dal tavolo, verso il distillatore e lasciando Law con un’espressione incredula e la conferma – come se poi ce ne fosse bisogno – che sua cugina si era scelta un socio con dei grossi e incurabili disagi.
    Scosse piano il capo per tornare in sé e tornare ad affrontare il sangue del proprio sangue, seduta di fronte a lui, in attesa. «Che c’è?»
    «Hai un problema serio.» affermò decisa Monet.
    Law fece schioccare la lingua. «Non esagerare.» la ammonì, infastidito dall’idea che sua cugina potesse avere, anche solo lontanamente e anche solo in parte, ragione.
    «Non esagero. Se non puoi risolverlo con una tazza di the, allora hai un problema serio.» ribadì Monet, sollevando il braccio per prendere un altro sorso di the.
    La tazza si bloccò a metà strada tra il tavolo e le sue labbra nello stesso momento in cui un lampo attraversò gli occhi di Law. Per un momento tutto parve fermarsi.
    Law e Monet erano cresciuti insieme e questo non aveva fatto che rafforzare la naturale alchimia che derivava in primis dal fatto di condividere una ben precisa e identica sequenza di D.N.A. che, non si sapeva bene come, Law doveva avere necessariamente ereditato da suo padre, sebbene in lui molte delle qualità con cui quella sequenza aveva benedetto la famiglia Donquijote fossero rimaste sempre quiescenti.
    Di certo Rocinante non era noto per essere sagace nonostante fosse un uomo molto intelligente, adattabile e, soprattutto, altruista. E fortuna aveva voluto che almeno Lamy ereditasse questa sua ultima qualità senza dover rinunciare per questo all’arguzia di cui zio Dofla era l’indiscussa fonte genetica della famiglia.
    Ed era quindi perfettamente normale per loro avere avuto la stessa idea nello stesso momento. E se Monet si sentiva molto soddisfatta della trovata, Law si sentiva un cretino per non averci pensato da solo e prima. Ma tardi era meglio che mai e ciò che contava era essere arrivato al dunque.
    «Credi che potresti…» Law non riuscì nemmeno a finire la domanda quando Monet si alzò in piedi decisa.
    «Seguimi.» mormorò semplicemente, avviandosi verso il retro della sala da the, la risata di Caesar in sottofondo.

    Edited by ___Page - 19/8/2017, 17:31
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    IL CIELO SOPRA DRESSROSA






    Sanji aveva amato sua madre, la sua dolcezza, la sua forza, il suo sorriso.
    All'inizio inconsciamente e senza che questo rappresentasse un qualche malsano complesso di Edipo, Sanji aveva incessantemente cercato quel sorriso in ogni celestiale creatura che avesse incrociato sul proprio cammino.
    Non che Sanji cercasse o volesse una donna che fosse come sua madre. Sarebbe stato morboso e limitante, per lui che le donne le amava tutte e incondizionatamente. Dispotiche, ingenue, doppiogiochiste, scaltre, dolci, coraggiose, spaventate, sincere, bugiarde.
    Tutto ciò che Sanji cercava era l'All Blue e tutto ciò che voleva era rivedere quel sorriso. Un sorriso splendente, capace di nascondere un male incurabile e la bugia di quanto fosse buono un cestino per il pranzo caduto tre volte in una pozzanghera. Se avesse potuto rivedere un simile sorriso anche solo una volta sapeva che gli sarebbe bastato per il resto dei propri giorni.

    Non si era aspettato una reazione del genere né era riuscito subito a capirla.
    Quando finalmente lo aveva rivisto, quel sorriso luminoso che nascondeva una debolezza solo fisica e due gambe tremanti sotto un sottile strato di cotone, Sanji non era riuscito a capire cosa fosse quella puntura al centro del petto. Tanto più che la situazione sfiorava il paradosso.
    Era convinto di avere perso la propria occasione. Quando Rufy in precario equilibrio sulla balaustra del Baratie gli aveva raccontato tutte le loro avventure fino a quel momento c'era stato un nome e un dettaglio che avevano attirato la sua attenzione più degli altri.
    Kaya.

    "Era tutta pallida e spaventata. Però devi vedere come sorride a Usopp!"

    Così aveva detto Rufy e Sanji aveva invidiato questo Usopp. E invidia sarebbe dovuto essere tutto il sentimento che avrebbe dovuto provare verso di lui. Invidia e forse, al massimo, rispetto tra compagni di viaggio. Per l'affetto era ancora presto, Sanji ne era convinto, era decisamente troppo presto, con la sola eccezione di Nami-swan, e avrebbe sfidato chiunque a contraddirlo. Nessuno di loro era cresciuto in mezzo a una ciurma di cuochi tutta al maschile. Lui era il solo che avesse già avuto un'esperienza di prima mano di quel genere, lui conosceva le tempistiche meglio di chiunque altro e per l'affetto era ancora troppo presto.

    Ma mai che nessuno gli desse retta su quella dannata caravella e Usopp era dovuto correre da lui con in mano quello stupido paio di occhiali da cecchino, per mostrarglieli, così stupidamente felice da far sentire felice anche lui, con quello stupido sorriso sul volto che Sanji aspettava di vedere da una vita. Non sapeva se il sorriso di Kaya fosse così. Sapeva che quello di sua madre era così e ora Sanji avrebbe potuto rivederlo ben più di una volta soltanto.
    Ciò che Sanji non aveva né mai avrebbe messo in conto era quanto importante sarebbe diventato quel sorriso. Perché era così simile al sorriso di sua madre, per quello, solo per quello, se lo era ripetuto allo sfinimento mentre attraversava Alubarna alla ricerca di quel travestito dalle mani lunghe che si era permesso di rubare gli occhiali ad Usopp. Non era stata la palese delusione sul volto del cecchino, non era stato il pensiero che si sarebbe sentito ancora una volta un incapace non all'altezza, non era che Usopp quegli occhiali se li era guadagnati. A muoverlo era solo e soltanto il desiderio di vedere ancora il sorriso di sua madre.

    Era stata la perfetta bugia per un sacco di tempo. Una perfetta bugia su Usopp ma non di Usopp e questo era il colmo. Ma a Sanji di cosa fosse il colmo non era importato un fico secco quando con un sollievo che lo aveva quasi messo in ginocchio, se lo era trovato davanti sano e salvo sul tetto del Puffing Tom. Bendato fino alla punta del naso, con una maschera ridicola e una ridicola voce ma vivo, concreto, abbastanza vicino da poterlo toccare. Non ci fossero state altre più impellenti questioni e una delicata e giovane donna da salvare, Sanji lo avrebbe rivoltato come un calzino e in quel momento non gliene sarebbe fregato niente di vederlo sorridere come sua madre o meno. Non ci fossero state altre più impellenti questioni, il suo unico pensiero sarebbe stato ficcare in quella zucca vuota che non poteva mollare tutto a quel modo, che si rimettesse insieme e trovasse il modo di aggiustare anche il resto e tornare perché Sanji non aveva intenzione di rinunciare a ciò che finalmente aveva aggiustato lui.
    Aveva ringraziato le altre più impellenti questioni che lo avevano obbligato a sopprimere l'istinto di vomitargli addosso tutti i propri sentimenti e gli avevano dato abbastanza tempo per riprendere il controllo. Era una decisione di Usopp e di Usopp soltanto ma questo non cancellava il colorito e coinvolto sfogo che aveva avuto luogo nella testa di Sanji.

    E non c'era più margine di errore, non aveva più niente a che fare con sua madre o con il sorriso di sua madre. Riguardava solo Usopp e il sorriso di Usopp e le lacrime di Usopp e il coraggio con cui riusciva ad attraversare un bosco pieno di giganteschi insetti senza battere ciglio e la sua espressione concentrata quando prendeva la mira e tutte quelle stronzate sull'essere una zavorra senza utilità per nessuno.
    Usopp, il suo compagno di viaggio, il suo amico, il suo buongiorno al mattino e la sua risata alla sera. Usopp, quasi perso e ritrovato per un soffio. Usopp, che era innegabilmente un uomo.

    Difficile dire se fosse stato più lo shock di scoprirsi bisessuale o di averlo quasi perso, difficile dire se fosse la frenesia di una vita per mare o di una vita per mare come sottoposto, amico e compagno di Rufy. Sanji era stato zitto con la promessa di affrontare la questione innanzitutto con se stesso, non appena avesse riportato Nami alla nave, strappandola dalle grinfie dell'uomo-leone, che dopo avergli rubato il frutto del diavolo perfetto voleva rubargli anche la sua dea.
    Mai avrebbe immaginato che uno degli effetti collaterali del post-zombificazione fosse una totale confusione dei propri sentimenti. Mai avrebbe immaginato di finire zombificato, tanto per cominciare.
    Era stato istintivo sacrificarsi per Rufy, preoccuparsi per Zoro, essere felice che fossero tutti sani e salvi. Ma che quello che provava per Usopp non fosse semplice affetto per un amico lo aveva dovuto realizzare di nuovo e ci era riuscito solo una volta a Sabaody.
    Uno dei giorni più brutti della sua vita.
    Aveva lottato con le unghie e con i denti per salvarli, per salvarlo, rassegnato a non potergli dire ciò che doveva. Aveva creduto che fosse finita, finita per sempre.

    Poi per due anni, mentre imparava a camminare nel cielo e scopriva la propria duplice sessualità, Sanji aveva avuto modo di provare e riprovare un discorso che avrebbe avuto bisogno di più ossigeno e meno sirene per vedere la luce.
    Ovviamente Trafalgar Law aveva dovuto scegliere proprio la loro successiva tappa come villeggiatura. Nessuno avrebbe potuto biasimarlo per non aver parlato con Usopp mentre Robin rischiava la vita sul lato infuocato dell'isola in compagnia solo di quella fogna ambulante del capitano e di quell'imbecille di un arrotacoltelli. E dopo, quando si erano finalmente riuniti tutti, il simpatico ed espansivo chirurgo aveva pensato bene di giocare con i loro corpi e le loro personalità.
    C'era già abbastanza confusione per correre il rischio che Usopp finisse con il pensare che Nami-swan provasse qualcosa per lui. Non era sicuramente il momento migliore, dichiararsi mentre si trovava nel corpo della sua meravigliosa dea, a cui nessuno avrebbe potuto resistere.
    Non si sarebbe tirato la zappa sui piedi così, non era mica uno Zoro lui.

    Se aveva pensato che Sabaody fosse stato uno dei momenti più spaventosi della propria vita era solo perché prima di allora Usopp non aveva mai avuto la geniale trovata di attardarsi nella sala controllo di un laboratorio prossimo all'esplosione per guidarli all'uscita. Quando lo aveva visto arrivare sano e salvo, ancora una volta sano e salvo – di cosa diavolo era fatto quel ragazzo? – senza bende questa volta, cresciuto, forte, senza più alcun bisogno di lui a guardargli le spalle, Sanji non aveva ringraziato per non aver perso il suo sorriso, il suo buongiorno, la sua risata, le sue fandonie, che riuscivano a rendere ancora più avventurosa una vita per mare alla ricerca di un tesoro nascosto e sconosciuto. Aveva ringraziato per lui e soltanto per lui.

    Il cielo sopra Dressrosa era terso quella notte e dello stesso colore del mare sotto di loro quando Sanji prese Usopp in disparte, sul castello di poppa.

    Era buffo.
    Buffo come un discorso che aveva riprovato infinite volte ora inciampasse sulla lingua ogni tre parole.
    Buffo come lui, che mai vacillava, solido come un pilastro, balbettasse sconclusionato mentre parlava con il re del tentennamento.
    E buffi sicuramente, quando alla fine mandò al diavolo la dignità, il romanticismo e il buon senso, i tre tentativi di baciarlo senza accecarsi con il suo naso, tutti falliti, finché Usopp non venne in suo soccorso, afferrando i baveri della sua camicia inamidata e impeccabile e imbroccando la giusta angolazione al primo colpo.
    Sanji sgranò gli occhi, colto alla sprovvista e con il dubbio che fosse tutto solo un sogno, finché le mani di Usopp, molto concrete e più ferme di quanto avrebbe mai potuto immaginare, si spostarono intrepide una a lato del suo collo e l'altra sulla sua nuca.
    Sentì la testa annebbiarsi, quel briciolo di coscienza che ancora conservava dissolversi, gli occhi chiudersi contro una volontà che, onestamente, nemmeno gli interessava ritrovare.
    Un attimo prima di tornare l'uomo che sempre era stato, cavalleresco, passionale, romantico, e stringere Usopp tra le braccia, un ultimo pensiero razionale gli attraversò la mente.

    Era blu ovunque l'occhio riuscisse ad arrivare e il cuore non gli aveva mai battuto così forte.
    Potevano deriderlo e negare quanto volevano ma Sanji sapeva, aveva sempre saputo che l'All Blue esisteva. E lui lo aveva appena trovato.


    §




    «Credevi che l'avrei sposata?»
    Era insospettabilmente comodo stare sdraiati a quella maniera, i piedi che puntavano in direzione diametralmente opposta e le teste vicine. Usopp ruotò il capo, appoggiato al braccio di Sanji, piegato e con la mano a fargli da cuscino, più per assicurarsi che vedesse molto bene la sua espressione scettica che non per desiderio di guardarlo in faccia.
    «Puoi biasimarmi?»
    Qualunque velleità di Sanji di mostrarsi, senza alcuna valida argomentazione a proprio favore, indignato si sgretolò nell'istante in cui i suoi occhi blu si fissarono in quelli scuri e densi del cecchino.
    Dannazione, Usopp era così sexy quando era serio.
    «Lo avrei fatto solo per voi.» precisò, asciutto.
    «Immagino la tua disperazione.»
    «Ti sei dimenticato quello che ti ho detto prima di Dressrosa?»
    Usopp ghignò già tronfio, neanche avesse scoperto l'ubicazione dello One Piece. «O dubito di te o dubito di Viola.»
    Per un attimo fu solo silenzio.
    «V-Viola-chan?» titubò Sanji, mandando giù pesantemente, in parte per essere stato colto in flagrante, in parte per il ricordo della bella principessa. Dopotutto, non lo faceva apposta ma non per questo pensò di non meritarsi la centra con cui Usopp lo colpì in pieno volto. «L'hai incontrata?» domandò, tornato in sé, mentre si sfregava la fronte.
    «E ci ho anche fatto quattro chiacchiere.» affermò il cecchino, tornando a guardare il cielo con aria fintamente offesa.
    Il cielo sopra Wa era terso quella notte e dello stesso colore del mare sotto di loro. Gli ricordava la sera del loro primo bacio.
    Esalò un mugugno sorpreso e infastidito quando sentì venire meno l'appoggio del gomito di Sanji sotto la nuca ma non fece in tempo a protestare che il cuoco ruotò sulla pancia e sollevò il busto, quel tanto che era necessario per portare il proprio viso sopra quello di Usopp e ben più vicino di quanto sarebbe dovuto essere legalmente consentito secondo il cecchino.
    «Era una donzella in difficoltà, sai che non riesco a evitarlo. E poi non è come se con te non lo avessi mai fatto.»
    «Io non sono una donzella!»
    Sanji ghignò, tra l'arrogante e il rapito. «Tu sei Usopp. Ed è per questo che ti amo.»
    Usopp avrebbe voluto rispondere qualcosa di sagace. A onor del vero, aprì anche la bocca ma così rimase, stordito, mente le parole gli arrivavano al cervello come il glucosio nel sangue quando mangiava una fetta della sua torta al mandarino.
    E, prima di sapere come, stava sorridendo, con quel suo sorriso che mai avrebbe saputo quanto significava per Sanji perché semplicemente Sanji non riusciva a spiegarlo. Prima di sapere come, aveva già inarcato la schiena per piegarsi all'indietro e portato una mano sulla sua nuca. Prima di sapere come, le labbra di Sanji erano a pochi centimetri dalle sue.
    Usopp socchiuse gli occhi, pronto a perdersi.
    Il cielo non era mai stato così blu.

    Edited by ___Page - 18/8/2017, 11:38
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